(Letture: Gn 17,3-9; Sal.104; Gv 8,51-59)
Le parole che abbiamo ascoltato nella prima lettura ci offrono gli elementi essenziali per comprendere il rapporto di Dio con l’umanità. Dentro questa relazione, che risale agli inizi della storia biblica, ma potremmo dire della stessa storia umana, si originano e prendono forma tutte le altre relazioni di “generazione in generazione” fino ai nostri giorni. Nel capitolo della Genesi da cui è tratto il testo che abbiamo ascoltato ci sono due parole che identificano bene le prospettive su cui si sviluppa il rapporto con Dio. Sono centrali infatti le parole “alleanza”, che ricorre 13 volte e l’annuncio di una “discendenza numerosa” che ritorna per ben 12 volte.
Il primo elemento è quindi quello dell’alleanza che si fonda sulla promessa di Dio ad Abramo, il cui cambio del nome lo rende simbolo di tutta l’umanità. Se quello che possiede dalla nascita “Av-ram” significa «il padre è esaltato», il nuovo nome “Avraham” richiama l’espressione av-hamon goyim” che significa «padre di nazioni» e rende chi lo riceve responsabile di un futuro impegnativo e ricco di speranza. Perché questa alleanza si realizzi Dio ricorda ad Abramo che «da parte tua devi osservare la mia alleanza, tu e la tua discendenza dopo di te, di generazione in generazione».
Il secondo elemento è la sottolineatura della fecondità di tale alleanza. Se si resta fedeli, e Dio certamente lo è e lo sarà sempre, non mancheranno i segni della sua benevolenza, che si traduce nell’assicurare ad Abramo una discendenza numerosa: «diventerai padre di una moltitudine di nazioni» e aggiunge «ti renderò molto, molto fecondo; ti farò diventare nazioni e da te usciranno dei re». Conosciamo tutti i travagli a cui questa alleanza è stata sottoposta nel corso della Storia della Salvezza e, grazie alla fedeltà di Dio non è venuta meno, anzi ha raggiunto il suo culmine nel dono che il Padre ci ha fatto del Figlio che ha rinnovato e portato a compimento questa alleanza.
Ci prepariamo a celebrare la Santa Pasqua che è appunto il culmine di questo rinnovo e prolungamento in eterno dell’alleanza tra Dio e l’umanità. Di fronte alla chiusura dei Giudei, nel brano di Vangelo che abbiamo ascoltato, Gesù conferma il compimento in lui delle promesse fatte ad Abramo. Le sue parole nell’ultima cena, che noi ripetiamo in ogni celebrazione eucaristica, non lasciano margini di dubbio. All’antico sacrificio dell’alleanza rituale si sostituisce il dono personale e definitivo di Gesù stesso: «Prendete, e bevetene tutti: questo è il calice del mio Sangue, per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me». Questo è il cuore della nostra fede che rinnoviamo di generazione in generazione attraverso la liturgia, ma non solo.
Quest’alleanza per continuare ad essere feconda deve essere rinnovata e portare frutto nel cuore di ogni credente. Diventa vera e credibile solo se tradotta in segni concreti di amore fraterno e di servizio reciproco, perché questa è la fecondità spirituale dell’alleanza rinnovata da Gesù. Egli si è fatto servo, ha lavato i piedi, ha guarito i malati, ha perdonato e insegnato a perdonare, ha evangelizzato, ha pregato il Padre e ha offerto la sua vita in riscatto per i nostri peccati affrontando l’umiliazione e il sacrificio della Croce… e soprattutto ci ha detto: «fate questo in memoria di me» donandoci il comandamento nuovo: «amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi».
Quanto sta accadendo in questi giorni con l’esplosione dell’assurda guerra in Ucraina, ci fa capire quanto sia fragile questa alleanza e come gli uomini continuamente, anche se legati ad importanti tradizioni religiose perdano facilmente la bussola. Per questo il Papa ha definito l’attuale conflitto “sacrilego”. Vediamo come in un attimo con la guerra tutto è perduto e i suoi effetti devastanti si riflettono ben oltre il terreno di scontro militare. Come affermato da Pio XII nel 1939 alla vigilia della seconda Guerra mondiale: «Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra».
Il modo migliore per coltivare la pace e far sì che si fermi l’onda devastante della violenza è quella di rafforzare il nostro impegno per educare al dialogo fraterno e al servizio reciproco. È il compito fondamentale della nostra istituzione accademica chiamata a formare le nuove generazioni perché siano capaci di contribuire al bene comune, ponendo la scienza a servizio dell’uomo, alimentando processi di solidarietà, prestando attenzione ai più bisognosi e costruendo percorsi di riconciliazione. Solo così si può realizzare un cammino di vera pace. Le tre parole, “ricordo, passione e conforto” che Papa Francesco ci ha donato con la sua visita in occasione dei 60 anni della Facoltà di Medicina e chirurgia devono illuminare e guidare il nostro cammino.
Il Santo Padre ci ricordava che se vogliamo tenere vivo in noi l’amore di Dio e coltivarne l’alleanza feconda: «dobbiamo appassionarci dell’uomo, di ogni uomo, soprattutto di quello che vive la condizione in cui il Cuore di Gesù si è manifestato, cioè il dolore, l’abbandono, lo scarto; soprattutto in questa cultura dello scarto che noi viviamo oggi» (Omelia, 5 novembre 2021). Cultura, possiamo aggiungere, di cui anche l’attuale conflitto è purtroppo eloquente espressione. Nell’affrontare questi drammatici momenti della nostra storia ci è di conforto la testimonianza dei nostri fondatori che ricordiamo con particolare gratitudine nel contesto del centenario dell’Ateneo.
Sappiamo bene come l’Università Cattolica sia nata sulle ceneri della prima guerra mondiale e abbia attraversato il travaglio del secondo evento bellico offrendo al nostro Paese un luogo di rinascita e costruzione del futuro per le nuove generazioni. In particolare la Facoltà di medicina ha rappresentato un obiettivo fondamentale fin dall’inizio. Un sogno che si è potuto realizzare per la determinazione di P. Gemelli, ma anche per l’impegno straordinario profuso da Armida Barelli che attorno a questo progetto aveva catalizzato le principali energie della Gioventù Femminile e degli Amici dell’Università Cattolica, offrendo da ultimo la sua stessa vita e la sofferenza degli ultimi anni proprio per la realizzazione della Facoltà.
Già nel 1925 diceva a chi la derideva per i suoi progetti di erezione della Facoltà di medicina: «Per la festa del Sacro Cuore 50mila Amici e loro famiglie, parenti, conoscenti, subalterni dicano con me: Sacro Cuore di Gesù, dal tuo amore, per la tua gloria, vogliamo la Facoltà di medicina, la nuova grande sede, una vita soprannaturale più intensa per la tua Università. Maria Santissima, ottienici da tuo Figlio questi doni» (M. Sticco, 1967, p. 343). Ci son voluti altri 35 anni di preghiere, raccolte e grande impegno contro tutto e contro tutti, ma alla fine la Facoltà è nata, soprattutto grazie alla offerta di sé che ha fatto la Barelli, in particolare negli ultimi tre anni di malattia che l’aveva resa afona. In una delle ultime adunanze a cui ha partecipato qualcuno disse: «Promettiamo al Sacro Cuore d'istituire la Facoltà di medicina, se la signorina Barelli riacquisterà la voce». La cassiera ringraziò con un sorriso, ma capovolse la proposta, scrivendo su un foglietto che fece circolare tra i presenti: «Io voglio la Facoltà di medicina e rinunzio alla voce» (I. CORSARO, 1954, p. 152).
Ora che il prossimo 30 aprile sarà proclamata beata, la nostra gratitudine sarà ancora più forte assieme all’impegno per rimanere fedeli al progetto e alle finalità originarie. Siamo certi che i nostri fondatori e amici dal Cielo non smetteranno di sostenerci e di intercedere per noi, come affermava Ida Mattei, una delle prima consacrate con la Barelli nell’Istituto della Regalità, mentre era divorata dal cancro e stava morendo: «Mi ricorderò di voi - diceva alle amiche - State attente e mi sentirete lassù! Lavorerò con voi. Metterò a soqquadro il Paradiso per ottenere la Facoltà di medicina e perché questa Facoltà scopra al più presto il segreto del cancro, che è così terribile male, da portare alla disperazione chi non crede». Diceva queste cose nel 1925, poco meno di un secolo fa e forse già intravedeva che il Policlinico Gemelli sarebbe diventato il più grande polo oncologico del Paese. Ci attendono sfide importanti e impegnative, ma sappiamo di non essere soli. Abbiamo grandi sostenitori, sicuramente in Cielo, forse un po’ meno in terra, ma sappiamo che se resteremo fedeli all’alleanza con il Signore possiamo continuare a sviluppare le grandi cose che chi ci ha preceduto, con grande intelligenza e profonda fede, ha saputo pensare e realizzare. Amen.