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Marc Augé, una vita che ha dato forma al pensiero

27 luglio 2023

Marc Augé, una vita che ha dato forma al pensiero

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Lunedì 24 luglio 2023, è scomparso, nella sua Poitiers, Marc Augé, celebre antropologo, etnologo, scrittore e filosofo. Aveva 87 anni. Un intellettuale che, negli anni, aveva stretto un forte legame con il Dipartimento di Sociologia dell'Università Cattolica. A testimoniarlo i due articoli scritti per la rivista "Studi di Sociologia" edita da Vita e Pensiero: "L’anthropologie et l’écriture" (2008) e "Habiter les villes-monde (Non/Virtuels/Nouveaux) Lieux et relations sociales" (2016), quest'ultimo scritto insieme alla professoressa Cristina Pasqualini, docente di Sociologia, di cui di seguito pubblichiamo un ritratto - e un ricordo - del grande antropologo.



I rapporti di Marc Augé con il Dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica risalgono almeno agli anni Novanta, grazie all’amicizia e le frequentazioni assidue con alcuni colleghi sociologi e antropologi che si sono occupati di complessità sociale e vita quotidiana. In particolare, con la regia del sociologo degli interstizi Giovanni Gasparini, solo negli ultimi venti anni, abbiamo realizzato nel nostro Ateneo numerose iniziative culturali, che hanno portato a incontri e reso possibili progetti di scrittura condivisa. In questa congiuntura feconda, ho avuto la fortuna di trovarmi e di fare esperienza di un intellettuale a tutto tondo, antropologo africanista di formazione, etnologo, filosofo, estimatore e attento frequentatore della sociologia. Marc Augé amava scrivere ed era capace di giocare con i diversi registri di scrittura, «piegandola» al servizio delle discipline demo-etno-antropologiche, a cui apparteneva, ma anche a un uso più autoriflessivo/autobiografico e letterario.

Marc Augé ha amato e imparato da tutte le stagioni della sua vita. In lui il pensiero e la vita si fondono, si inebriano. La vita ha dato forma al pensiero e il pensiero si è nutrito della vita. La ricerca dell’esotico, che ha rappresentato la sua ossessione, è un modo di porsi rispetto alla conoscenza, come colui che sa di non sapere e pertanto deve immergersi nei mondi sociali e farne esperienza per parlarne. Questo spirito aperto e curioso lo ha accompagnato e guidato prima nello studio delle società primitive africane e amazzoniche e, a partire dagli anni Novanta con la globalizzazione, nello studio delle società occidentali e, in particolare, delle metropoli complesse come la sua amata Parigi.

È proprio con la sua produzione intellettuale “matura”, che Augé ci fornisce chiavi interpretative estremamente originali ed “efficaci” per leggere e interpretare il nostro tempo, che chiama surmodernità. Con gli scritti degli anni Novanta Un etnologo nel metrò (1992), Ville e tenute (1994), Non luoghi (1993) e Disneyland e altri non luoghi (1999), utilizzando uno stile di scrittura da lui stesso definito «letteratura sperimentale», Marc Augé si consegna e consacra alla comunità scientifica internazionale e alla storia come l’antropologo dei non-luoghi.

Negli anni Novanta, Augé ci spiegava che diversamente dai luoghi antropologici in cui i legami sociali sono caldi, i non-luoghi, che nascono grazie alla mobilità insita nella globalizzazione, sono spazi di attraversamento – aeroporti, stazioni, centri commerciali – più che luoghi di frequentazione, ove si sperimentano anonimato e libertà, ed è più difficile che si generino socialità e forme comunitarie.

Tuttavia, con il passare degli anni, con la pervasività dei mezzi di comunicazione e le trasformazioni delle città (tra cui la crescente urbanizzazione e lo spopolamento delle aree interne), la distinzione tra luoghi e non luoghi è diventata via via sempre più sfumata. Paradossalmente molti luoghi sono diventati non-luoghi, i non luoghi hanno acquisito alcune caratteristiche dei luoghi, ma soprattutto sono nati nuovi-luoghi, realtà ibride che hanno un radicamento, una presenza sia fisica che digitale.

Da parte sua Marc Augé considerava le nuove tecnologie della comunicazione tanto pericolose quanto affascinanti e utili, se messe a servizio della socialità, una sorta di antidoto alla solitudine e all’individualismo sperimentato in molte città, in molti luoghi e non-luoghi. Ricordo il nostro lavoro di ricerca Vicini e connessi (2018) sulle social street, considerate nuovi-luoghi, che ha voluto arricchire con la sua Prefazione e la riflessione congiunta Habiter les villes-monde. (Non/Virtuels/Nouveaux) Lieux et relations sociales (2016).

Marc Augé ci lascia molte perle. Ne ricordo in particolare due, per la loro capacità di spiazzare il lettore e chi fa il mio mestiere. La madre di Arthur (2011), un “capolavoro” letterario, costruito nel rispetto dei canoni letterari. La lettura del romanzo si rivela avvincente e ancora una volta si ha l’impressione che l’immaginazione letteraria si sia «alimentata» delle conoscenze socio-antropologiche. Così come Il diario di un senza fissa dimora (2011), in questo caso una etnofiction, in cui racconta il preoccupante fenomeno sociale di coloro che si impoveriscono e finiscono a vivere in strada. Usa la forma narrativa del diario personale, come fosse lui il protagonista. Il risultato è di grande impatto, emotivo e conoscitivo.

Non è facile ricordare un maestro e soprattutto un amico. So di averlo fatto in modo parziale, ma con spirito fraterno.

Un articolo di

Cristina Pasqualini

Cristina Pasqualini

Ricercatrice di Sociologia generale - Facoltà di Scienze Politiche e Sociali, Università Cattolica

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