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Politica, social e reportage: viaggio dentro “Propaganda Live”

19 maggio 2021

Politica, social e reportage: viaggio dentro “Propaganda Live”

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«Ho conosciuto Diego dopo aver visto un suo video sulla chiusura della campagna elettorale di Veltroni nel 2008. In 16 minuti aveva fatto una sintesi straordinaria. A quel tempo lavoravo con Serena Dandini a Parla con me e con lei andammo praticamente sotto casa sua per proporgli di entrare nel programma».

Così Andrea Salerno, attualmente direttore de La7, ha raccontato l'inizio di quello che si rivelato essere uno dei sodalizi più fortunati della televisione italiana, quello con Diego Bianchi, in arte Zoro. Un incontro che, grazie a un team sempre più affiatato ha dato vita prima a Gazebo (Rai3) e poi a Propaganda Live (La7). E proprio loro sono stati i protagonisti dell'incontro dedicato alla comunicazione ai tempi della pandemia promosso lunedì 10 maggio dal corso di Elementi di Scienza della politica e dal Master FareTV.

Diego Bianchi ha raccontato così l'incrocio destinato a cambiare la sua carriera: «Quel pezzo su Veltroni – rivela – tra l'altro fu ripreso e usato dai politici come analisi e giustificazione della sconfitta, ben oltre le mie reali intenzioni. Io nella vita facevo altro, lavoravo per un portale web. Per me accettare quella proposta era una scelta di vita, il rischio me lo sono preso più io che loro, per fortuna è andata bene».

Dopo l'introduzione del professor Andrea Locatelli che ha ricordato il ruolo centrale dei media nella costruzione dell'agenda della politica e di conseguenza l'importanza di forme di informazioni libere e competitive il direttore del Master Fare Tv Massimo Scaglioni ha spiegato perché il programma di Zoro rappresenta una sorta di unicum della nostra tv: «Propaganda Live racconta un punto di vista sulla politica diverso da quello a cui siamo abituati sul piccolo schermo. E si contraddistingue, tra le altre cose, per i reportage che altrimenti non vedremmo altrove come per esempio il pezzo sulla comunità indiana di Latina. Ed è premiato dal pubblico visto che supera il milione di spettatori toccando talvolta anche picchi di ascolto più elevati».

«Diego – ha raccontato Salerno in merito alla nascita di Gazebo - è stato bravissimo a unire quattro persone che si conoscevano marginalmente: Antonio Sofi, io, Makkox e Marco Damilano. Avevamo maturato capacità ed esperienze, ci siamo trovati nel momento giusto. La chiave è stata la creazione di un linguaggio che ancora non c'era con la figura del conduttore/inviato. Adesso è più credibile un video su YouTube di un servizio con tanto di cameraman a Montecitorio. Una trasformazione velocissima di cui forse ancora non ci siamo resi completamente conto».

«La forza di questo gruppo – ha aggiunto - è che può cambiare tutto. Io spesso mi arrabbio ma loro sono davvero, come si definiscono, ultrapunk: se lo ritengono opportuno per veicolare un certo tipo di messaggio non si preoccupano di 'buttare a mare' tutta la grammatica televisiva. Chi, se non loro, in una trasmissione in prime time, si permetterebbe di mandare in onda un pezzo di 45 minuti?».

Inevitabile poi parlare del tema centrale dell'incontro, ovvero il racconto televisivo della pandemia: «Ci ha costretto a sperimentare – ha detto Salerno - ma il nostro patto col pubblico è stato quello di non fermarsi mai. Esserci sempre. Abbiamo dovuto cambiare tutti i modelli produttivi (montaggio, inviati ecc.), l'80% delle persone era in smart working con l'unica eccezione di chi deve stare negli studi. Ma la nostra agilità ci ha permesso di esserci con più facilità».

«In un mondo cosi rumoroso è decisivo farsi riconoscere – ha spiegato il direttore de La7 - in alcuni campi noi ci siamo e siamo subito riconoscibili. Questa scelta ha pagato dal punto di vista dell'identità. Per aumentare la nostra credibilità abbiamo quindi costruito una Rete che potesse raccontare la realtà su alcuni generi: talk, documentari e film selezionati a compendio di questo racconto».

«La pandemia – ha spiegato Bianchi - ha rappresentato una cesura, una grossa parentesi. Il format di Tolleranza Zoro (ndr una sorta di dialogo montato tra Bianchi e..."Zoro") è tornato in auge per condividere la stessa condizione con chi ci guarda. Potevo uscire per fare servizi ma abbiamo fatto una scelta diversa. Al suo interno però abbiamo mandato in onda pezzi realizzati dagli stessi protagonisti o da videomaker di nostra fiducia. È stato un esperimento obbligato, ma riuscito, che poi ha prodotto collaborazioni ancora attive come quella con le Karma B. La gente ci ha ringraziato anche per quel tipo di racconto».

Bianchi e Salerno non si sono poi sottratti alle tante domande degli studenti. E a chi gli chiedeva se riconosceva nel cosiddetto Gonzo Journalism un'affinità elettiva o un'ispirazione Bianchi ha risposto così: «No, è un genere che non conoscevo neanche ma poi, quando me lo hanno spiegato, ho capito che quello che facevo poteva essere qualificato come tale». E sulla sua 'formazione' ha spiegato di «non aver mai fatto un corso di montaggio o di recitazione: sono completamente autodidatta, ma non me ne faccio un merito o un vanto».

La pandemia non è un pericolo scampato ma la luce in fondo al tunnel si intravede ed è tempo di pensare anche al futuro. «Mi aspetto grandi cambiamenti col ritorno del pubblico – ha confessato Bianchi – sono cento persone che per noi sono linfa vitale. Per noi sarà una botta emotiva fortissima perché, anche se sembra tristissimo, ci eravamo quasi abituati alle sagome, a un pubblico di cartone (quella sì che è una cosa che ci hanno copiato in molti...) quando tornerà per noi sarà come ricominciare da capo».

Un articolo di

Luca Aprea

Luca Aprea

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