Soltanto il suono può esprimere ciò che va al di là della ragione: questa è la tesi che Alessandro Melchiorre, compositore e già direttore del Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, ha voluto dimostrare con il suo libro Testo e suono. Qualcosa che solo con i suoni si può dire (ed. Libreria Musicale Italiana). Un’idea espressa sin dal sottotitolo dell’opera, per il quale l’autore ha scelto di adottare una frase del compositore austriaco Arnold Schönberg.
Il testo di Melchiorre è divenuto il fulcro di un seminario che si è svolto a Milano giovedì 29 febbraio nella Cappella San Francesco dell’Università Cattolica, in cui i suoi interventi si sono avvicendati a quelli di varie voci appassionate e competenti: Enrico Reggiani, professore di Linguaggi musicali in prospettiva storica e direttore dello Studium Musicale di Ateneo; Gabriele Manca, compositore e professore di composizione al Conservatorio di Milano; Rosa Cafiero, professoressa di Storia della musica; Alessandro Antonietti, preside della Facoltà di Psicologia. Una riflessione che è stata intervallata da alcuni puntuali interventi musicali a cura del maestro Martino Tosi, coordinatore dell’attività dello Studium Musicale di Ateneo.
Il dibattito si è focalizzato sul rapporto tra suono e testo e su come la loro relazione abbia assunto negli anni una notevole rilevanza sul piano compositivo, influenzando gli approcci dei vari autori. Sul punto, il professor Reggiani ha ad esempio osservato come «la prospettiva è cambiata molto nel momento in cui la musica è stata intesa come ancella della parola rispetto a quando è stata considerata come mezzo per liberarsi dai vincoli convenzionali del linguaggio verbale». Del resto, il ruolo del suono si è evoluto nel corso del tempo: «Per quanto il sound sembri l’elemento fondamentale della musica – spiega Melchiorre – in passato non lo era tanto come lo è divenuto nell’ultimo secolo. Oggi lo è non solo per la musica classica, che è considerata “colta”, ma anche per quella che una volta era detta “leggera”».
Non sono però mancati anche spunti ulteriori, come una riflessione sul terzo elemento che, assieme a testo e suono, è parte imprescindibile della composizione musicale: il tempo. «La musica non è un oggetto – osserva Melchiorre - ma esiste soltanto nel momento in cui la si sente e, sperabilmente, la si ascolta, per cui l’esperienza temporale è fondamentale. La musica è la memoria di qualcosa che si è sentito e a cui si riesce a dare un’interpretazione, se non addirittura una razionalizzazione, solo dopo».
Dalla discussione è quindi emerso come la musica sia una realtà estremamente complessa, che richiede una conoscenza approfondita per poter essere realmente compresa e la cui trattazione non è certamente esauribile in un incontro soltanto. Al punto che il seminario si è concluso con la promessa di un nuovo appuntamento, per continuare a sollecitare riflessioni su un settore così affascinante, nonché l’unico in grado di trasmettere ciò che le parole spesso non sono in grado di fare.