Il Service learning - il servizio solidale che potenzia l’apprendimento degli studenti dando loro la possibilità di applicare quanto appreso sui banchi dell’Università in contesti reali – diventa ufficialmente parte integrante dell’offerta formativa.
Ad annunciarlo è il professor Domenico Simeone, Preside della Facoltà di Scienze della Formazione: «Grazie al successo riscosso usciamo dalla fase sperimentale, Iil Service learning ora è a tutti gli effetti parte integrante dell’offerta formativa delle facoltà presenti nella sede bresciana».
Quest'ultima è stata pioniera nella certificazione di competenze trasversali acquisite da ogni studente durante un progetto di “apprendimento-servizio” oltre il contesto scolastico. Lo testimonia il fatto che dal 2017-2018 ha avviato una sperimentazione che da allora, con una pausa forzata dovuta al Covid, ha visto circa 250 gli studenti aderire volontariamente alla proposta, impegnandosi in una serie articolata di iniziative.
Duplice il beneficio. Da un lato si contribuisce a soddisfare alcuni bisogni reali ed effettivamente percepiti dalla comunità; dall’altro si rafforza l’acquisizione di conoscenze, valori, abilità negli studenti con atteggiamenti associati all'impegno civico in primis, attraverso un'esperienza all'interno della comunità.
Il service learning si pone così non in aggiunta, ma ad integrazione del curriculum degli studenti e delle normali attività delle organizzazioni della comunità locale, promuovendo sia sviluppo personale che quello della comunità. Si rafforza inoltre il radicamento dell’Università con il territorio, le sue organizzazioni locali e il terzo settore e apre la scuola a una maggiore responsabilizzazione e promozione per l’impegno civico degli studenti.
«Costruire reti è un modo d’intendere l’essere Università, sviluppando quelle competenze civiche di cui molto si sente parlare e che si costruiscono solo nei contesti di vita reale» tiene a sottolineare la professoressa Elena Marta, direttore Centro di ricerca sullo sviluppo di Comunità e la convivenza organizzativa (Cerisvico).
Qualche esempio? «In determinati contesti soft skills come l’empatia sono fondamentali» nota la professoressa Livia Cadei che ha curato l’attività di Service learning con i migranti alla Caritas Intemelia di Ventimiglia e il servizio in un centro culturale e un consultorio di Atene e in alcuni centri di assistenza migranti e marginalità.
Un nuovo modo di fare didattica «perché apprendere non è un processo individuale, bensì collettivo. La differenza rispetto al tirocinio? Il Service learning non fornisce crediti formativi in cambio, ma permette algi studenti di essere generativi di idee e soluzioni» sottolinea la professoressa Monica Amadini che ha seguito il progetto sul corso di italiano e alfabetizzazione per donne immigrate.
C’è poi il progetto “Matematica e fisica in gioco”, curato dalla docente Stefania Pagliara, per i ragazzi ricoverati negli Spedali Civili di Brescia e al Papa Giovanni di Bergamo durante la pandemia.
«Con la cooperativa Il Calabrone, che porta avanti un programma di recupero per giocatori d’azzardo, gli studenti della Facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali sono entrati nelle scuole per mostrare ai ragazzi che chi gioca perde sempre. Lo hanno dimostrato applicando il calcolo delle probabilità. Il nostro punto di partenza è stato uno studio che indica come i ragazzi si approccino al gioco d’azzardo già 10 anni, e che questo è molto celato anche nei videogiochi» racconta Pagliara.
Altri progetti condotti negli anni sono stati “Teatro tra le nuvole”; attività di consulenza per attività di service learning in alcune scuole italiane o per associazioni che si occupano di lavoratori disoccupati; la partecipazione al Villaggio per la Terra di Roma, allestito ogni anno da Earth Day Italia.