«L’unico miracolo che si compie dai tempi di Omero e da prima ancora, e che non può essere dimenticato o messo in dubbio perché chiunque può farlo rivivere con la lettura, è quello delle parole che trattengono la vita. È la poesia»: così il laico Sebastiano Vassalli vent’anni fa nella Cripta dell’Aula magna aveva chiuso la lezione aperta con gli studenti del Laboratorio di editoria dell’Università Cattolica di Milano, leggendo dal suo libro fresco di stampa Amore lontano. Il romanzo della parola attraverso i secoli, pubblicato da Einaudi in quel 2005. Aveva ricevuto molte domande e le sue risposte erano stare franche, anche ruvide, mai accomodanti, entusiasmando comunque i giovani presenti, richiamati dall’autore della Chimera spesso letto al liceo accanto ai Promessi sposi.
Parlando di casi editoriali, aveva ammesso di credere «di avere fatto alcune cose buone e anche ottime, che però non hanno avuto un successo clamoroso e non possono averlo perché l’umanità è un mare dove i movimenti avvengono in superficie. Più si scende in profondità, più tutto sembra (ma non è) immobile». E proprio alla ricerca del dietro le quinte dei suoi successi da «viaggiatore nel tempo» si è dedicato il Laboratorio di editoria negli ultimi dieci anni, prima con tesi e con l’ordinamento di archivio e biblioteca nella sua casa-museo in mezzo alle risaie, poi con la promozione culturale della sua opera con mostre bibliografiche e documentarie, grazie al supporto di Educatt, tra i chiostri di largo Gemelli alle vallate dolomitiche, da La nascita di uno scrittore a cura di Linda Poncetta a Il romanzo di una valle sul romanzo Marco e Mattio a cura di Valentina Giusti, senza dimenticare le edizioni promosse, come l’inedito De l'infinito, universo e mondi a cura di Martina Vodola presso Hacca con il sostegno di Giuseppe Lupo. Perché nei giovani lo scrittore ha sempre creduto assicurandogli che «con la lettura ci si abitua a guardare il mondo con cento occhi, anziché con due soli, e a sentire nella propria testa cento pensieri diversi, anziché uno solo. Si diventa consapevoli di se stessi e degli altri».
E «Ho raccontato l’Italia» sono le ultime parole effettivamente scritte da Vassalli prima di essere ricoverato con un male inguaribile all’hospice. Qui ha immaginato di continuare a guardare, come ha sempre fatto dalla sua casa, la pianura al centro del suo capolavoro, La chimera, storia di una giovane donna punita ingiustamente per un odio incomprensibile. Nei suoi romanzi ha trasfigurato quel sentimento nei conflitti sociali del falso progresso, nelle storie all’apparenza senza redenzione e nella stessa corazza caratteriale con cui ha cercato di difendersi dai fantasmi della fanciullezza, vissuta con l’esperienza straziante dell’abbandono da parte dei genitori quando aveva due anni. Così il suo rifugio, e la maniera di comprendere la vita e il mondo, sono state le parole, sono state le storie, dentro una patria ideale e concreta rappresentata dalla propria lingua.
Lungo i secoli ha intrecciato i fili rossi delle sue storie con il sogno di chi non ha voce, la diversità scambiata per follia, l’ingiustizia violenta, la verità incompresa di personaggi puri capaci di sacrificarsi per un’idea e una chimera. I suoi protagonisti e alter ego vanno dal «babbo matto», poeta toscano, Dino Campana – perché la poesia, genere con cui aveva iniziato accanto alla pittura, non lo abbandonerà mai – allo scarparo Mattio Lovat ai piedi delle Dolomiti e a Yoshua Ha-Nozri, il Gesù storico, e forse fino al Casanova anziano che si salva con la scrittura.
Ma chi ha parlato di nichilismo vassalliano non ha capito del tutto lo scrittore, che ha chiesto due cose per il suo addio pubblico: che venisse suonata l’Internazionale, senza risvolti politici ma per il significato utopico di inno alla giustizia e originariamente di inno alla natura, e pronunciato il Padre nostro, «il sogno d’amore rappresentato dal dialogo con il padre». È la volontà di un non credente e di un profondo sognatore che contiene il senso della sua opera: «Senza quei due sogni l’uomo è “terra, polvere, fumo, ombra, nulla”. Con quei due sogni è un nulla che ha sognato. Io sono un nulla che ha sognato molto: un nulla pieno di storie». È la letteratura che può salvare, perché, ha scritto in Amore lontano, «è vita che rimane impigliata in una trama di parole».
All’incontro “Raccontare l’Italia tra editoria e letteratura” dedicato allo scrittore in largo Gemelli mercoledì 12 novembre (ore 17 Aula Magna) partecipano Paolo Di Stefano, Alberto Casiraghy, Giuseppe Lupo, con la vedova Paola Todeschino e la moderazione di Valentina Giusti e Martina Vodola, con una mostra a cura di Paolo Senna di plaquette rare delle edizioni Pulcineoelefante dello scrittore scomparso dieci anni fa. L’evento è l’occasione per presentare il libro di Roberto Cicala Raccontare l’Italia. I libri di una vita di Sebastiano Vassalli, edito da Il Mulino.