Le figure dell’origine e della fine sono essenziali per qualificare il tema del “senso” attraverso il quale l’uomo cerca di mettere in ordine gli infiniti eventi che attraversano la sua vita: in pratica, senza un inizio e una fine non ci sarebbe direzione, non ci sarebbe “senso”.
È questa la cornice concettuale che ha fatto da sfondo al XIII Seminario internazionale dedicato al tema “Apocalissi. Fine del mondo o fine di un mondo”, organizzato martedì 21 novembre dall’Archivio “Julien Ries” per l’antropologia simbolica, e aperto dai saluti di monsignor Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica.
Il Seminario, che si collega a quello del 2016 intitolato “Il dramma dell’inizio. L’origine dell’uomo nelle religioni”, ha esaminato da differenti prospettive religiose il tema della fine dei tempi e delle numerose “apocalissi contemporanee”, coniugando miti e narrazioni sia sulla fine del mondo sia sull’inizio di una nuova vita.
La prima relazione sulla Bibbia è stata affidata a Roberto Vignolo, della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, che ha parlato di “Chiavi, paradigmi e interpretazioni dell’eschaton nell’Apocalisse giovannea”. Secondo lo studioso nel testo giovanneo «l’umana storia è tutt’altro che un’evoluzione cieca o deterministica, men che mai un corso “di magnifiche sorti e progressive”, bensì un vero e proprio campo di battaglia, nel quale tocca schierarsi e battersi – dal momento che, sui destini ultimi universali, pendono il giudizio inesorabile e la giusta retribuzione di Dio, che assicura vittoria e premio ai suoi fedeli, sconfitta e rovina ai suoi impenitenti antagonisti».
Dalla Bibbia alle fonti zoroastriana. Tematiche analizzate nell’intervento dal titolo “Resurrezione del corpo e rinnovamento del mondo nell’escatologia zoroastriana”, affidato a Domenico Agostini della Tel Aviv University. Attraverso la lettura e la discussione di alcune fonti zoroastriane, Agostini ha cercato di rispondere a queste domande: quali sono i passaggi e il significato del rinnovamento futuro e della resurrezione apocatastatica zoroastriani; quale il destino del Male e dell’inferno dopo il rinnovamento; come sarà il nuovo mondo.
Un aspetto interessante ha riguardato l’analisi dell’escatologia nordica. Alessandra Ballotti e Pierre-Brice Stahl, della Sorbonne Université, durante il loro contributo “Ragnarök/Ragnarökr entre destin et crépuscule des puissances”, hanno messo in discussione la nozione di destino legata all’evento che va sotto in nome di «crepuscolo delle potenze».
Sulla questione “Un’altra fine o della tenebra” si è soffermato Silvano Petrosino, direttore dell’Archivio “Julien Ries” per l’Antropologia simbolica. Secondo il filosofo si può chiamare tenebra una sorta di tragica anticipazione di una fine assoluta. «La tenebra non è il buio, all’interno del quale il soggetto ancora risponde, ma è l’assenza totale di risposta. La tenebra appartiene alla non risposta; o anche: laddove non c’è assolutamente risposta, qui emerge la tenebra. Le cose, eventualmente, sono nell’oscurità o in ombra o avvolte dal buio, mentre il soggetto, e solo lui, può trovarsi, eventualmente, nella tenebra; o forse più correttamente: è solo il soggetto che fa entrare in scena la tenebra».
La riflessione su “Apocalisse del Cristianesimo? La sfida dell’Occidente all’escatologia: pensare il Nuovo” è stata curata da Sergio Massironi, del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. Per il teologo «l’Apocalisse non è più alla fine, ma al cuore del tempo e ha i contorni determinati di Colui che a ogni generazione dice: “Guarda, io faccio nuove tutte le cose”. In questa luce, il Concilio Vaticano II e più ancora il pontificato di Francesco hanno riorientato il corpo ecclesiale alla contemporaneità, legittimando i pionieri che si sono cimentati coi suoi linguaggi e le sue sfide». Pertanto, va urgentemente focalizzato il contributo alle vitali e dinamiche Chiese del Sud del mondo che può venire solo da un cristianesimo europeo all’altezza della condizione neo-moderna.
L’aspetto coranico è stato affrontato da Martino Diez, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che ha esposto sul tema “La fine come inizio. L’Ora coranica”. «Il Corano può – e in certa misura deve – essere letto come un testo apocalittico, in cui larga parte viene fatta sia all’escatologia sia, in un secondo tempo, al problema del possibile ritardo dell’Ora e al ruolo che la comunità è chiamata a svolgere nel vuoto temporale che ne consegue».
Infine, Giovanni Ibba, della Facoltà Teologica dell’Italia Centrale, ha preso in esame “L’escatologia nei manoscritti di Qumran”, concentrandosi soprattutto su alcune opere, sconosciute prima della scoperta delle grotte, in cui si parla degli «ultimi giorni» o della «fine del tempo», come il Rotolo della Guerra, la Regola della Congregazione, la Nuova Gerusalemme, ma anche il Libro dei Misteri, Melchisedek, Apocalisse aramaica e altre ancora, scritte da gruppi giudaici che hanno operato tra il II secolo a.C. e il I d.C.
Una pluralità di fonti con una serie di aspetti che hanno molto arricchito il quadro relativo alle “apocalissi” del passato e anche del nostro tempo, con risvolti di carattere storico, filosofico, religioso, spirituale e culturale.