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Black Lives Matter: "Tre parole terribili"

28 febbraio 2022

Black Lives Matter: "Tre parole terribili"

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Black Lives Matter sono tre parole terribili “perché devi raggiungere un punto davvero basso se devi ricordare a qualcuno che la tua vita conta”. La testimonianza di Caroline Gombé, fondatrice del movimento Black Womens March, è netta e non lascia spazi alle interpretazioni. L’attrice è intervenuta da New York, dove risiede, durante il webinar dell’Università Cattolica del Sacro Cuore moderato dal professore Vittorio Emanuele Parsi per “Sfide per il futuro”, il ciclo di incontri realizzati nell’ambito di Progetto Genesi. E Gombé racconta con gli occhi di chi ha visto la Storia dal suo interno come il movimento di protesta è nato dalla combinazione di tre elementi: l’omicidio di George Floyd nel maggio 2020, la pandemia da Covid-19, la presidenza di Donald Trump.

L’hashtag #BlackLivesMatter in realtà ha cominciato ad aggregare una comunità di attivisti e manifestanti attorno a esso dal 26 febbraio 2012, quando il vigilante George Zimmerman uccise il 17enne afroamericano incesurato Trayvon Martin e venne assolto un anno dopo. «BLM è il capitolo moderno del Movimento per i Diritti Civili – spiega Gombé-, ma gran parte del suo successo è dovuto alla combinazione di social media e quarantene. Quando Floyd è stato ucciso il 25 maggio 2020 eravamo tutti abituati a fare qualsiasi cosa online ed eravamo chiusi in casa da due mesi». Una sorta di tempesta perfetta che ha generato un moto di indignazione e di solidarietà senza precedenti e che ha cambiato per sempre la vita di Caroline Gombé.

«Ero uscita per comprare una bottiglietta d’acqua e nei cinque minuti che sono passati da quando sono entrata e uscita dal negozio sotto casa tutto era diventato Black Lives Matter. La gente ha cominciato a capire che il razzismo aveva generato un sistema irresponsabile, che non solo discriminava per il colore della pelle ma che semplicemente non svolgeva la sua funzione. Per niente e per nessuno».

I primi giorni di protesta sono stati molto violenti ma hanno generato anche grande unità tra i gruppi di attivisti che componevano il movimento, che dopo esser scaturito da un caso specifico si è allargato nel tempo arrivando a rappresentare tutte le istanze e i bisogni del mondo degli afroamericani. E Gombé ha deciso di mettersi in gioco in prima persona fondando con altre donne la Black Womens March, un movimento di protesta per rappresentare tutte le donne afroamericane.

Eppure negli ultimi anni il grande supporto ricevuto da bianchi e ispanici è in calo: «Nel 2020 tutti erano BLM. Amazon, Apple, Coca-Cola. Da dopo le elezioni invece vedo alzarsi gli occhi al cielo. Mi infastidisce molto chi mi chiede “Cosa posso fare io”. Se hai vissuto in America negli ultimi due anni non puoi continuare a chiederlo. La George Floyd Law (un disegno di legge per riformare la formazione e la cultura delle forze dell’ordine, ndr.) è ferma al Senato dal 2020 mentre il progetto di legge anti-linciaggio è del 1919 ma non è mai arrivato da nessuna parte».

Per Gombé però quello che serve in primo luogo è un cambio di mentalità da parte degli americani bianchi: «BLM è supportata da molti politici e celebrità. Tutti neri. I bianchi vogliono supportare ma spesso non capiscono. Arrivano a un punto in cui qualcosa diventa scomodo perché si ritrovano in un movimento che non riguarda loro. È un processo. Se però davanti a esso si scappa via in lacrime alla prima difficoltà è difficile intraprenderlo. Se vuoi aiutare i neri devi prima comprendere le loro vite e farne esperienza per capire cosa puoi fare. La cosa più importante è cambiare: crescita e cambiamento non hanno a che fare con la comodità».

Un articolo di

Michele Nardi

Michele Nardi

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