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Carcere: il lavoro come antidoto

11 ottobre 2024

Carcere: il lavoro come antidoto

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I detenuti aspettano e aspettano, sognando un "fuori" che probabilmente non li accoglierà a braccia aperte, perché il mondo è cambiato mentre loro contavano gli anni, i mesi, le settimane e i giorni: dice così, nel film Bravi Ragazzi, il protagonista Antonio (Albanese), che propone la cultura come strumento per dare senso a questo tempo sospeso. 

Cultura e lavoro: ne parlano come di «un efficace antidoto all’angoscia dello scorrere del tempo in carcere» anche due detenuti che oggi preparano e vendono marmellate nel laboratorio agroalimentare dell’Istituto penitenziario di Piacenza e che hanno portato la loro esperienza in Università Cattolica durante l’incontro, organizzato dalla facoltà di Economia e Giurisprudenza,La partnership pubblico-privata nell’organizzazione del lavoro penitenziario. Nuovi percorsi ed esperienze di risocializzazione”. Un’iniziativa formativa che si inserisce nel contesto del più ampio progetto didattico, denominato “Sportello giuridico a favore delle persone private della libertà personale presso il carcere di Piacenza”, avviato lo scorso anno accademico presso la sede piacentina dell’Università Cattolica, con l’attiva e assidua partecipazione di trenta studentesse di Giurisprudenza. 

Un momento di riflessione promosso da Francesco Centonze, Ordinario di Diritto penale della laurea magistrale in Giurisprudenza a Piacenza, per far conoscere agli studenti la recente intesa stipulata dal CNEL e da Assolavoro (siglata nell’ambito di un accordo già avviato tra il CNEL e il Ministero della Giustizia), in cui il lavoro, la formazione e lo studio in carcere vengono promossi come strumenti di reinserimento sociale e di riduzione della recidiva.

«Ancora oggi il carcere è un’istituzione poco conosciuta e, per certi versi, piuttosto isolata dalla società; in questa prospettiva l’accordo tra CNEL e Assolavoro deve essere accolto con particolare favore per la sua capacità di valorizzare, grazie a una partnership pubblico-privata, l’organizzazione di un lavoro penitenziario di tipo formativo e professionalizzante, con benefici che toccano non solo la popolazione detenuta, ma anche le imprese private coinvolte e l’intera collettività». 
Un ricco panel di relatrici (Maria Gabriella Lusi, Direttrice della Casa Circondariale di Piacenza,  Roberta Casiraghi, Docente di Procedura penale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, Marina Di Lello Finuoli, Docente di Diritto penale II presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, e Lucia Zaietta, Sustainability & Foundation Manager presso Vodafone Italia) che hanno raccontato alcuni progetti lavorativi attualmente attivi presso le realtà carcerarie italiane.

«Noi lavoriamo sulla centralità della persona, per ogni individuo cerchiamo di costruire una dimensione di vita all’interno del carcere, che possa essere di utilità per il dopo pena» ha spiegato la direttrice Maria Gabriella Lusi introducendo l’esperienza dell’area “Le Novate al lavoro”, con spazi ad hoc dedicati all’attività lavorativa dei detenuti, un call center, con 30 postazioni di lavoro e un laboratorio agroalimentare attivato dall’amministrazione penitenziaria di Piacenza insieme alla cooperativa “L’orto botanico”. Il lavoro penitenziario deve però inserirsi nell’ambito di una progettazione pedagogica “che - prosegue la direttrice del carcere - consenta di dar valore alla singola persona per restituirla alla società, in modo che il rischio recidiva sia il più lontano possibile».
Alcune concrete opportunità di reinserimento sociale per i detenuti sono state descritte da Lucia Zaietta Sustainability & Foundation Manager di Vodafone Italia: nel carcere di Milano-Bollate ci si occupa di assistenza tecnica di secondo livello per l’attivazione di linea fissa e di smaltimento rifiuti elettronici - modem e terminali usati.

E se in origine il lavoro era un elemento di correzione e disciplina del sistema penitenziario, oggi, come spiegato dalla docente di Diritto penale II in Cattolica Marina Di Lello Finuoli, questa concezione è superata grazie all'avvento della nostra Carta Costituzionale: «le pene devono tendere alla rieducazione del reo e il lavoro diviene la via privilegiata per dare attuazione a un principio fondamentale del diritto penale».

Un concetto rinforzato nell’intervento di Roberta Casiraghi, Docente di Procedura penale che «il lavoro consente ai detenuti di allargare le proprie competenze professionali, così da avere più chances di inserimento nel mondo del lavoro una volta liberi, limitando il rischio di recidiva. I detenuti che nel corso della permanenza in carcere hanno avuto modo di apprendere una professione raramente torneranno a delinquere». I dati lo confermano con chiarezza: «Se il 62% dei condannati conta almeno una carcerazione precedente e addirittura il 15% ne conta almeno 5, va sottolineato che questo dato scende drasticamente al 2% per coloro che hanno avuto la possibilità di un inserimento professionale».

La strada da seguire è tracciata.

Un articolo di

Sabrina Cliti

Sabrina Cliti

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