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Giulia Rulli, dal campetto alle Olimpiadi passando per la Cattolica

16 luglio 2021

Giulia Rulli, dal campetto alle Olimpiadi passando per la Cattolica

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A volte basta un terzo tempo per colmare la distanza tra le aule della Cattolica e il parquet di Tokyo 2020. Giulia Rulli è una cestista professionista, parteciperà all’Olimpiade con la nazionale italiana femminile di basket 3X3 e frequenta il master Sport e intervento psicosociale nella sede di Brescia dell’Ateneo per preparare il proprio futuro quando la sua carriera professionistica sarà conclusa. Ma lo sguardo oggi è ben fisso sull’avventura fantastica che per lei e le sue compagne di squadra comincerà sabato 24 luglio, quando sfideranno la Mongolia nella prima partita di una rappresentativa azzurra femminile alle Olimpiadi da Barcellona 1996.

«Quell’Olimpiade non la vidi neanche perché avevo cinque anni, non sono cresciuta coltivando il sogno olimpico perché non avevo modelli di riferimento - racconta Rulli - mentre noi vogliamo mostrare esattamente che arrivare alle Olimpiadi si può. La qualificazione è una boccata di ossigeno per tutto il movimento. Ci siamo rese conto che il sogno poteva diventare realtà dopo la vittoria del Mondiale a Manila nel 2018».

E così nell’estate 2019 comincia un tour in tutto il mondo per partecipare a competizioni e ottenere i punti necessari per entrare nel torneo di qualificazione preolimpica: «Siamo arrivate alla finale di Debrecen dopo una vera battaglia in semifinale l’Olanda - continua Rulli - abbiamo giocato l’atto finale contro l’Ungheria in casa loro con tutto il palazzetto che tifava contro. Vincerla all’ultimo secondo è stato ancora più bello ma ci abbiamo messo qualche secondo a realizzare cosa fosse successo, c’era un silenzio assordante e non eravamo sicure di avere vinto. Poi abbiamo guardato il tabellone e abbiamo capito».

Per il basket 3x3 è la prima volta alle Olimpiadi: «Si tratta di un tipo di pallacanestro che è sempre esistito, praticato nei campetti di tutto il mondo, io ci giocavo spesso con le mie amiche e mia sorella. Non esiste un campionato in Italia, ogni giocatrice deve essere tesserata in una squadra 5x5. Le differenze però sono tantissime: i minuti effettivi di gioco sono 10 ma giocando solo a metà campo le interruzioni sono davvero poche, le squadre sono composte da 4 giocatrici che si alternano continuamente, il ritmo è più veloce e l’arbitraggio permette maggiore contatto fisico. Quindi se fai un tiro e sbagli non hai il tempo per pensare all’errore come nel 5x5, ma devi rimetterti subito in difesa».

Invece la vita di Giulia è sempre stata all’attacco. Una delle sue vittorie più prestigiose però non è arrivata sotto canestro ma in aula, dove non si è mai tirata indietro. Dopo la maturità classica infatti ha scelto di proseguire i suoi studi, prima in base ai suoi spostamenti sportivi tra Cagliari e Roma, poi in Cattolica, dove il programma Dual Career offerto dall’Ateneo per supportare atleti di alto livello nei loro studi le ha dato la possibilità di conciliare sport e studio: «Ho conseguito la mia laurea magistrale nella sede di Brescia in “Psicologia degli interventi clinici nei contesti sociali”, non ero a conoscenza del programma e sono entrata a farne parte durante il secondo anno. Sono stata seguita molto dai docenti Caterina Gozzoli e Chiara D’Angelo, che mi hanno aiutato soprattutto nei corsi con obbligo di frequenza. Allenandomi a Lecco e dovendo frequentare a Brescia non riuscivo sempre a conciliare gli impegni e loro sono sempre state molto disponibili».

Poi il master in “Sport e Intervento Psicosociale” dell’Alta Scuola in Psicologia Agostino Gemelli: «Qui ho trovato una quadra riuscendo a unire le mie passioni. Mi sono iscritta a questo master con l’idea di seguire gli atleti professionisti ma durante le lezioni mi sono accorta che lavorare con i settori giovanili e sulla gestione del talento, vista anche la mia esperienza con la Dual Career, mi interessa molto di più. Quest’anno ho scelto di scendere in Serie A2 per restare vicino a Milano in modo da poter frequentare al 100% e concludere il master. In aula ero nel posto in cui volevo essere ma questo non significa smettere con lo sport».

Spesso invece per chi vuole portare avanti sia la carriera agonistica che gli studi il cammino è irto di ostacoli: «Io non ho avuto supporto di alcun tipo all’interno del sistema scolastico - conferma Rulli - anzi, spesso il mio impegno non veniva riconosciuto dal mio liceo; veniva sottolineato solo che il sabato mattina per via delle trasferte saltavo le due ore di greco e non che il lunedì comunque ero in classe e che dovevo stare al passo con i programmi. So che oggi alcuni licei permettono agli studenti di uscire prima ed entrare dopo se vengono riconosciuti come atleti di interesse nazionale. È un piccolo passo avanti ma il ruolo dei professori nello spronare gli sportivi a continuare gli studi è decisivo: dopo 30-35 anni, quando smetti di giovare è difficile reinventarsi».

Un articolo di

Michele Nardi

Michele Nardi

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