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Il dolore non si cancella. Un viaggio dal contrasto alla prevenzione della violenza di genere

26 novembre 2025

Il dolore non si cancella. Un viaggio dal contrasto alla prevenzione della violenza di genere

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Il dolore non si cancella. La violenza lascia tracce che attraversano corpi, biografie e, talvolta, generazioni.

È da questa evidenza che ha preso avvio, nel campus di Piacenza dell’Università Cattolica, l’incontro dedicato alla Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. Un momento di riflessione che ha riunito magistrati, studiosi ed esperti per analizzare i limiti della sola risposta penale e l’urgenza di politiche di prevenzione più forti e coordinate.

Ad aprire la giornata è stata la professoressa Roberta Casiraghi, associata di Diritto Processuale Penale della Facoltà di Economia e Giurisprudenza dell’Università Cattolica, che ha che ha ricordato come «la violenza di genere rappresenti una grave violazione dei diritti umani, ancora oggi difficile da far emergere perché segnata da timore, vergogna e stigma. Il confronto di oggi», ha spiegato Casiraghi, «è stato costruito attorno alle quattro “P” della Convenzione di Istanbul – Prevenzione, Protezione, Punizione, Politiche integrate – per restituire complessità a un fenomeno che richiede un approccio culturale e formativo a partire dalle nuove generazioni». 

La forza dei dati è stata al centro dell’intervento della procuratrice della Repubblica di Piacenza Grazia Pradella: «Nella sola procura piacentina» ha detto, «dall’inizio dell’anno, sono state registrate 743 iscrizioni di Codice Rosso». Un numero stabile rispetto al 2024, ma che non attenua la gravità del fenomeno: «Su 397 procedimenti per maltrattamenti in famiglia, 146 riguardano casi di stalking, reato in crescita e trasversale a ogni fascia sociale. Sessanta i procedimenti per violenza sessuale. Ogni giorno» ha spiegato la procuratrice «passo metà del mio tempo su questi fascicoli. Tutti in procura ce ne occupiamo: è la misura dell’emergenza che viviamo».

Un’emergenza che non può essere affrontata solo con il Codice Rosso. «Gli strumenti normativi ci sono, i passi avanti delle forze dell’ordine sono evidenti. Ma il punto è: le persone denunciano? Ci permettono di intervenire?», ha osservato Pradella. E anche quando la denuncia arriva, restano le criticità: tempi procedurali, braccialetti elettronici insufficienti, percorsi di protezione che richiedono risorse e continuità. «I centri d’ascolto svolgono un lavoro prezioso, ma da soli non bastano. Occorrono case, sostegno psicologico, un accompagnamento che aiuti le donne a mantenere la capacità di reagire. Il numero oscuro dei maltrattamenti è enorme e non si esce dalla cultura dell’emergenza con il solo diritto penale: serve una rete sociale, medica e affettiva che coinvolga tutti gli attori».

Sulla stessa linea la presidente della Sezione civile del tribunale di Piacenza, Marisella Gatti, che ha richiamato la dimensione sommersa della violenza domestica. «Parlare di diritto di famiglia significa entrare nella vita segreta degli altri», ha ricordato. Nel 2024, su 190 nuovi procedimenti con separazioni conflittuali, nel 30% dei casi era presente violenza. E gli effetti possono essere devastanti: «La violenza subita da una donna in gravidanza lascia tracce sul feto, condiziona il suo sviluppo, aumenta la vulnerabilità a livello biologico e psicologico. Il trauma non è solo un ricordo: è una memoria viva, che può riaffiorare nelle generazioni successive». Per Gatti, prevenzione e contrasto della violenza domestica sono «una responsabilità sociale»: e la libertà di scelta passa anche da un reddito che renda una donna autonoma.

Il percorso di uscita, ha aggiunto Donatella Scardi, presidente del Centro antiviolenza, richiede metodo ed esperienza. «Da più di venticinque anni lavoriamo su buone prassi che accompagnano ogni donna nel riconoscere la violenza e ricostruire la propria vita». Eppure, i numeri restano elevati: da gennaio a ottobre 2025, i quindici Centri del Coordinamento regionale hanno accolto 4.958 donne, 223 in più rispetto al 2024. «Un dato che non restituisce l’intera dimensione del fenomeno».

Alla tavola rotonda hanno partecipato anche Silvia Merli, presidente del Cipm, e i ricercatori della Cattolica Marina Di Lello Finuoli, Michele Pisati e Priscilla Bertelloni, che hanno ribadito la centralità di politiche integrate capaci di unire contrasto, prevenzione e sostegno. Perché, come emerso da tutti gli interventi, uscire davvero dalla violenza significa molto più che intervenire sul reato: significa rendere possibile un “dopo”.

Perché il dolore non si cancella, ma si può scegliere di non lasciarlo crescere nel silenzio.

Un articolo di

Sabrina Cliti

Sabrina Cliti

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