«Lo sportello consta di due fasi strettamente collegate. In prima battuta, dopo un periodo di formazione in aula, in cui interverranno anche professionisti esterni e magistrati, gli studenti, sempre accompagnati dai docenti, si recheranno nell'istituto penitenziario per raccogliere le richieste dei detenuti» ha spiegato la Docente di Procedura penale professoressa Roberta Casiraghi. «Successivamente ci si confronterà sulle questioni sollevate, per discutere le buone pratiche che possono essere adottate. Ovviamente in questa seconda fase è necessario fare delle ricerche normative e giurisprudenziali, per arrivare a preparare le istanze e per rispondere nel modo più appropriato possibile alle richieste dei detenuti».
«A trarne vantaggio saranno i detenuti, che potranno usufruire dei consigli e dei suggerimenti dei nostri studenti, guidati ovviamente dai loro professori. Però, forse, l'utilità maggiore sarà proprio per noi, per i nostri studenti» ha sottolineato il professor Marco Allena, convinto che «l'esperienza dell'ingresso in carcere e della relazione con chi vive quella realtà, il prendersi cura concretamente e l’agire per migliorare le condizioni di vita degli altri sarà un valore aggiunto per i nostri studenti che siamo davvero orgogliosi di poter offrire»."
«È importante - ha precisato il professor Francesco Centonze - che l'Università Cattolica dia un messaggio di natura culturale e sociale: la realtà carceraria, che sembra così lontana e per taluno anche ‘fastidiosa’, deve essere vista e conosciuta. Costituiremo un ‘ponte’ rispetto a esigenze che saranno manifestate da alcuni detenuti, in particolare da coloro che non hanno la possibilità di avere frequenti incontri con gli avvocati».
Il progetto nasce nella cornice di quanto promosso dal Centro di ricerca interuniversitario su carcere, devianza, marginalità e governo delle migrazioni che, come ha ricordato il suo direttore Emilio Santoro, sostiene le cliniche legali come strumento per passare dal diritto dei libri al diritto in azione. «In carcere ci sono i socialmente abbandonati. Questa era l'etichetta che usava Sandro Margara, uno dei grandi magistrati di sorveglianza di questo Paese. Beh, se prendete questa etichetta la differenza tra doing e caring è evidente. Learning by caring vuol dire imparare dai bisogni delle persone – ha detto Santoro ai ragazzi -. E allora scoprirete che il diritto è un modo di fare le cose con le parole. Scoprirete che la vostra abilità giuridica serve per rendere reali le possibilità di essere persone in carcere e per rendere reali i diritti dei detenuti».
La centralità della persona è un tema su cui si è soffermata anche la direttrice del carcere di Piacenza «attiviamo tutti gli sforzi possibili affinché la persona riscopra in sé delle risorse su cui investire nel dopo pena» ha detto Maria Gabriella Lusi. E se è vero che «il carcere, come diciamo in gergo, lo fanno i detenuti, è vero anche che il carcere lo fa il territorio su cui ricade. Io credo che con questo progetto si dia un esempio importante di collaborazione interistituzionale, concretamente orientata al benessere del nostro territorio e della nostra società, attraverso un fil rouge che è l'attenzione alla persona».