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Leggi razziali, storia di una persecuzione giuridica

24 gennaio 2023

Leggi razziali, storia di una persecuzione giuridica

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Nel 2023 ricorrono nel nostro Paese ottantacinque anni dalle famigerate leggi razziali del 1938. Esse hanno costituito la pagina di gran lunga più buia e infame della storia, non semplicemente giuridica, dell’Italia: la maggiore ingiustizia legale che il nostro ordinamento giuridico abbia conosciuto, la più terribile discriminazione di Stato. Oggi l’attenzione su questi eventi oscuri della nostra storia non manca ma sono occorsi più di 50 anni perché l’interessato tabù storiografico venisse definitivamente infranto e superato: l’antisemitismo italiano infatti è stato a lungo negato e rimosso. Nel Regno d’Italia, a far data dal settembre 1938, venne scatenata una vera e propria violentissima persecuzione giuridica nei confronti di quelli che la normativa del tempo definiva cittadini italiani ‘appartenenti alla razza ebraica’.

All’interno di essa è lecito individuare quattro momenti essenziali: un primo frangente è quello degli antefatti e della preparazione del dispositivo discriminatorio; un secondo momento è costituito dalle norme vere e proprie (su tutti il regio decreto legge 17 novembre 1938 n. 1728 recante Provvedimenti per la difesa della razza italiana); un terzo da provvedimenti di tipo amministrativo, circolari; un quarto e ultimo stadio è quello in cui si travalicano le circolari stesse: la fase della Repubblica Sociale Italiana. Si è trattato di una paurosa gradazione ascendente, un climax, che, nella sua parte finale ha segnato il passaggio dalla persecuzione dei diritti alla persecuzione delle vite: dal settembre 1943 non vi fu bisogno di leggi che giustificassero arresti e deportazioni. È il caso di rimarcare la circostanza per cui la persecuzione giuridica non solo ha colpito ma si è accanita contro quelli che erano, e restarono fino alla fine, cittadini italiani. Infatti il regime, vigliaccamente, non ha ardito privare gli italiani ebrei della cittadinanza, pur di fatto svuotandola di ogni contenuto, apparendo quella una scelta troppo clamorosa nei confronti di famiglie che erano insediate da secoli in Italia, che erano perfettamente integrate e che avevano, spesso, combattuto nelle guerre del Risorgimento.

Queste dolorose vicende hanno inferto una ferita profondissima e incancellabile, senza dubbio, di cui nel nostro Paese si è assunta piena e reale consapevolezza soltanto con grave ritardo. É infatti occorso del tempo, molto tempo, per prendere (più o meno serenamente) atto che nel fascismo e nelle sue scelte (compresa quella antisemita), e almeno fino ai disastri bellici, si riconobbe una parte non minoritaria della società italiana. Il razzismo di Stato nell’Italia fascista fu appoggiato e sostenuto, e comunque non osteggiato, da un numero considerevole di giuristi, di giornalisti, di artisti: in una parola, di intellettuali. I provvedimenti normativi, che vennero proposti da Mussolini ma sovente furono aggravati da senatori e deputati al momento della discussione parlamentare, si rivelarono, tra l’altro, per essere immediatamente un sin troppo facile strumento di promozione sociale attraverso l’eliminazione di scomodi concorrenti, spesso a seguito di denunce di sicofanti e delatori. Insomma verso queste norme si è realizzato un consenso, spesso interessato e prezzolato ma talora spontaneo e sincero, elevato.

Per tali ragioni è doveroso, oltre che giusto, coltivare il ricordo consapevole di ciò che è accaduto, anche tenendo presente che l’antisemitismo e l’intolleranza appaiono ancora oggi, purtroppo, diffusi nella nostra società. Abbiamo allora la necessità ineludibile di ricordare che dietro, e dentro, la pazzia (lucida) che ha condotto ai forni crematori ci furono scelte reali e consapevoli, ci furono volontà e azioni, ci fu la decisione di annientare milioni di vite umane, di donne e uomini, di vecchi e bambini.

Un articolo di

Saverio Gentile

Saverio Gentile

Storico del diritto - Facoltà di Economia e Giurisprudenza, Università Cattolica

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