NEWS | Giornata della Memoria

Perché non accada mai più

25 gennaio 2023

Perché non accada mai più

Condividi su:

La legalità del male: non una contraddizione in termini, ma un’espressione che fotografa con lucida precisione le complesse vicende giuridiche di cui furono protagonisti i cittadini italiani "considerati di razza ebraica" tra il 1938 ed il 1945.

Ad ottantacinque anni dalla legislazione antiebraica fascista, le facoltà di Economia e Giurisprudenza e di Scienze della formazione dell’Università Cattolica hanno scelto questo titolo per celebrare a Piacenza il Giorno della Memoria, che ha visto tra gli altri il contributo della Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni.


Dopo i saluti istituzionali del Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, professor Franco Anelli, ha preso la parola il professor Saverio Gentile, che ha ripercorso in sintesi gli eventi salienti del processo giuridico e storico che ha reso possibile la persecuzione e lo sterminio degli ebrei.

«Dentro la lucida pazzia che portò ai campi di concentramento ci fu un concatenarsi di fatti e azioni. Il bisogno di difenderci intellettualmente e moralmente da queste situazioni permane. Sono occorsi più di 50 anni perché l'antisemitismo italiano fosse riconosciuto» ha ricordato Gentile «Il virus dell'intolleranza è ancora ben presente nella nostra società. Riflessioni come quelle di oggi non sono un guardare alla storia, ma un tentativo di insistere per cercare di costruire le migliori coscienze per il futuro».  

Carla Antonini, direttrice dell’Istituto di Storia contemporanea di Piacenza, ha calato nello scenario piacentino la discriminazione razziale e la deportazione realizzatesi tra il 1938 e il 1945 «122 persone, gli ebrei del Piacentino classificati secondo il criterio biologico-razziale. Pienamente integrati nel tessuto sociale, economico e politico, cercarono di resistere in un contesto concretamente antisemita, dove la passività della popolazione fu sostenuta dalla diffusione dell’ideologia razziale attraverso i media e la scuola». Una storia non diversa da quella del resto d’Italia e d’Europa. La parola chiave per prevenire, per evitare che possa ancora accadere, risiede nella responsabilità «delle Istituzioni e delle singole persone».


Perché è accaduto allora? E perché accade oggi? sono interrogativi imprescindibili per Noemi Di Segni: «Una comprensione faticosa: solo tre anni fa è stato revocato per gli ebrei l'obbligo giuridico di dimostrare di essere stati perseguitati. Ma mancano ancora vari tasselli per l'applicazione di questa legge: nella burocrazia si perdono tempo e senso». Ma, ricorda Di Segni, «il tema della responsabilità non è solo storico e legislativo, è piuttosto un tema molto attuale e risiede nella domanda: cosa possiamo fare noi oggi? Perché la Shoah non si è conclusa con il 27 gennaio 1945, quando i cancelli di Auschwitz sono stati aperti: per tutta la vita ho ascoltato il racconto della mia famiglia che ha vissuto la tragedia sulla propria pelle; e per tutta la vita mio nonno ha atteso il ritorno del fratello da Auschwitz. Perché alla fine, per quanto per motivi storici occorra attribuire una datazione alle vicende, Auschwitz non finisce mai e passa da generazione in generazione».

«È in questa continuità che si collocano gli attuali atteggiamenti di antisemitismo» che passano dalla negazione dell’unicità del dramma, e arrivano al negazionismo, matrice che secondo Di Segni caratterizza oggi l’antisemitismo italiano, che «se prima si esprimeva con l’affermazione che la Shoah fosse un’invenzione, oggi si attua soprattutto con l’offesa della memoria e la derisione del dramma, attraverso la strumentalizzazione dei simboli dell'ebraismo» che si compie anche nella piazza virtuale di internet e dei social, «dove si diffonde questa nuova propaganda antisemita. Per questo la strada da seguire è quella della cultura e della formazione, affinché ciascuno sappia assumersi con consapevolezza le proprie responsabilità di fronte al male. Perché fare memoria non è ascoltare passivamente provando pietà per le storie delle vittime, ma capire oggi quale sia la nostra responsabilità di cittadini. Ciascuno di noi può fare la differenza ed essere un tassello nel necessario percorso di cambiamento».

Un articolo di

Sabrina Cliti

Sabrina Cliti

Condividi su:

Newsletter

Scegli che cosa ti interessa
e resta aggiornato

Iscriviti