«Prima questo mondo esisteva solo sui libri, qui i ragazzi hanno avuto l’opportunità di interfacciarvisi direttamente – questo è, secondo Ferraris, il risvolto più proficuo sul versante professionale – ci si confronta, qui, con un mondo diverso dall’università: è necessaria una buona preparazione nelle materie internazionalistiche, dal diritto alle organizzazioni, alle relazioni, alla storia, per poter fare collegamenti con quanto accaduto in passato e proporre soluzioni efficaci nello scenario. I processi decisionali sono però molto diversi e accelerati rispetto a quelli della scuola: molte cose vengono fatte accadere senza possibilità di previsione, costringendo i ragazzi a ragionamenti repentini e immediati».
I posti resi disponibili dall’università erano quattro e ad occuparli sono stati Irene Angusti, Giada Galati, Gaetano Montagna e Francesco Montone, dopo aver superato una selezione basata su carriera accademica pregressa e conoscenza dell’inglese. Esercitazioni, briefing quotidiani, videochiamate con il capo della squadra navale, così come post politici e presentazioni power point erano infatti svolti interamente in questa lingua. Lo scenario contemplava anche altri Paesi Nato e sulla nave si trovavano militari di diverse nazionalità: bulgara, turca, marocchina, statunitense, francese…
«C’è un balance tra quello che l’esperienza insegna dal punto di vista professionale e da quello umano – riflette Gaetano – quello che si è fatto nello specifico è difficile che venga poi richiesto nella vita quotidiana, ma è molto formante per altri aspetti fondamentali quali il lavoro in team, la capacità di adattamento, il contatto con un modus operandi militare, che aiuta a capire la gerarchizzazione dei compiti in una catena di comando. E tutto questo è importante oggi negli ambienti lavorativi. Poi c’è l’arricchimento personale».
«Penso che la cosa più grande che possiamo aver imparato si misuri proprio su questo versante – prosegue Irene – imparare a vivere con altri che fino a poco prima erano sconosciuti ed entrare, nel corso della quotidianità delle giornate, nella loro intimità; adattarsi alla ristrettezza dello spazio; convivere con l’imprevedibilità… è qualcosa che per sempre porterò con me. “Laddove finisce la logica, inizia la marina”: questo era il loro motto. Ed era vero, perché non c’erano programmi che superassero i due giorni».