L’Università Cattolica custodisce questo fuoco e quindi può trasmetterlo perché l’unico modo di farlo è “per contatto”, cioè attraverso la testimonianza personale e comunitaria. Prima ancora di trasmettere quello che si sa, si accende il fuoco condividendo quello che si è. Questo contatto avviene grazie all’incontro, al fatto di mettersi a fianco uno all’altro e a fare qualcosa insieme. E questo è il senso originario di ciò che chiamiamo “università”, l’uni-versitas: quando iniziarono a sorgere queste realtà nel Medio Evo esse nacquero per far convergere “verso” un unico luogo le diverse scuole. Tanti che convergono “verso uno”, verso uno, un luogo, un tempo, uno spirito. Nel vostro caso, una storia illuminata dalla Fede, che ridà unità all’universo della conoscenza e tesse l’unità delle persone che contribuiscono alla sua crescita: i professori, i dipendenti, gli studenti. E questo è il senso più profondo della parola “tradizione”. E come diceva Mahler: “Non è la custodia delle ceneri del passato, ma la salvaguardia del futuro”.
La seconda parola è speranza. Oggi, questa idea di educazione è sfidata da una cultura individualista, che esalta l’io in opposizione al noi, promuove l’indifferenza – la cultura dell’indifferenza è brutta, eh! -, sminuisce il valore della solidarietà e mette in moto la cultura dello scarto. Chi educa, infatti, guarda al futuro con fiducia, e compie un’azione – quella educativa – che coinvolge diversi attori della società, in modo tale da offrire agli studenti una formazione integrale, frutto delle esperienze e delle sensibilità di molti. Questa è in particolare la missione dei docenti, che sono i custodi creativi della tradizione, che è un tesoro. Perché, secondo l’immagine di Gustav Mahler – come ho detto -, non è custodire le ceneri ma custodire il fuoco, cioè portare avanti l’immagine dell’albero: le radici danno la vita all’albero e, come diceva il poeta, tutto quello che l’albero ha di fiorito, viene da quello che è sotterrato. Questa armonia fra radice e crescita.
L’educazione è anzitutto relazione: relazione tra docente e studente, e poi anche degli studenti tra loro. Una comunità di persone aperta alla realtà, all’Altro trascendente e agli altri, aperta a conoscere, a scoprire, a porre domande e cercare insieme risposte, risposte di oggi. Non spaventarsi di fare delle domande per cercare risposte. Una comunità aperta al mondo senza paure. La paura è brutta, eh! Questo è speranza: scommettere sul futuro vincendo la naturale spinta che nasce dalle tante paure che rischiano di immobilizzarci, fissarci e chiuderci in un eterno e illusorio presente. L’apertura e l’accoglienza dell’altro è quindi particolarmente importante, perché favorisce un legame solidale tra le generazioni e combatte le derive individualiste presenti nella nostra cultura. E soprattutto costruisce, proprio a partire dalle aule universitarie, una cittadinanza inclusiva, opposta alla cultura dello scarto.
In questa prospettiva ho promosso un Patto educativo globale, per sensibilizzare tutti all’ascolto delle grandi domande di senso del nostro tempo, a partire da quelle delle nuove generazioni di fronte alle ingiustizie sociali, alle violazioni dei diritti, alle migrazioni forzate. L’università non può rimanere sorda davanti a queste denunce. Sono contento che abbiate raccolto questo invito a una rinnovata stagione di impegno educativo. I vostri progetti di cooperazione internazionale, rivolti a diverse popolazioni del pianeta, i tanti aiuti economici che ogni anno erogate agli studenti bisognosi, la vostra attenzione verso gli ultimi e verso i malati sono testimonianza di un impegno corretto. Vi incoraggio ad andare avanti in questa strada!
Il mondo, oggi soprattutto, è totalmente interdipendente; tale condizione richiede uno sforzo inedito, perché questo cambiamento epocale ha reso obsolete le cornici interpretative del passato, che non sono più utili per comprendere il presente. Si tratta di progettare nuovi modelli di pensiero, per definire soluzioni alle urgenze che siamo chiamati ad affrontare: da quelle ambientali a quelle economiche, da quelle sociali a quelle demografiche. Noi non possiamo andare avanti con la categoria dell’illuminismo. Ci vuole un pensiero nuovo, creativo. L’Università Cattolica del Sacro Cuore può rappresentare un luogo privilegiato per lo sviluppo avanzato di tale elaborazione culturale. E qui ritorniamo alla relazione docenti-studenti – che è importante! -, che è una relazione dinamica, in tensione tra presente e futuro: insieme siete chiamati a pensare, programmare e agire avendo come orizzonte la casa comune di domani, a partire dalla realtà concreta di oggi.
E a voi studenti mi rivolgo ora in un modo particolare. In questi tempi confusi, resi ancora più complessi dalla pandemia, vi ripeto: non lasciatevi rubare la speranza! Non lasciatevi rubare la speranza! E non lasciatevi contagiare dal virus dell’individualismo. È brutto questo, eh! E fa male. L’università è il luogo adatto per sviluppare gli anticorpi contro questo virus: l’università apre la mente alla realtà e alla diversità; lì potete mettere in gioco i vostri talenti e metterli a disposizione di tutti. Come studenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, appartenete a una comunità di studi con solide radici, dalle quali potete attingere per la vostra formazione e per rinnovare, ogni giorno, l’entusiasmo di andare avanti e assumere la vostra responsabilità nella società, ma non diventare tradizionalisti delle radici, no: prendere dalla radice per crescere, per andare avanti, per giocarvi la vita. E questo è l’orizzonte che io vi propongo in questo centenario.
E veniamo così alla terza e ultima parola: servizio. In realtà, questa parola potrebbe essere la prima, perché sempre una nuova istituzione comincia da fondatori che mettono la loro vita al servizio degli altri. E nel corso dei suoi cento anni, l’Università Cattolica del Sacro Cuore ha dimostrato in più occasioni di essere fedelmente al servizio della Chiesa e della società. Lo testimonia l’impegno dei suoi docenti nell’attività quotidiana di ricerca e, per non pochi di essi, anche in ruoli di responsabilità all’interno delle istituzioni italiane e internazionali. Lo testimonia il lavoro del personale, che offre dedizione e intelligenza al fine di rendere possibile il funzionamento dell’Università. Un pensiero di gratitudine rivolgo proprio a ciascuno di voi, che fate parte di questa grande squadra; anche qui la logica è quella della uni-versitas: tutti insieme, tutti “verso”, tutti insieme, ognuno nel suo specifico ruolo, ma tutti insieme, convergendo verso un orizzonte condiviso. Senza l’opera quotidiana di ciascuno di voi, questo progetto comune sarebbe più povero, mancherebbe di qualcosa, come se in un’orchestra mancassero il timbro e la tonalità di alcuni strumenti, apparentemente meno importanti.
Cari fratelli e sorelle – e mi rivolgo di nuovo a tutti – siete – permettetemi l’esempio - una grande orchestra, dove è essenziale l’insieme, che si fa se ciascuno dà il meglio in armonia con gli altri. Lo spirito di servizio rimanga sempre il tratto distintivo di tutta la vostra comunità universitaria, che solo così è fedele al Vangelo che la ispira. Il Signore Gesù Cristo, pur essendo il Logos, la Sapienza divina, ha scelto la stoltezza del servire fino alla spogliazione totale di sé: la sapienza della Croce. Così ha reso testimonianza alla verità dell’amore di Dio e Lui, il Re, ci ha insegnato che servire è regnare. Servire è regnare. Possa, chiunque studia e lavora nella vostra Università, respirare questo spirito, apprendere questo stile, per viverlo nella complessa realtà del mondo contemporaneo. Andate avanti, guardate l’orizzonte, con coraggio nella vostra missione educativa. Due parole che ci aiuteranno tanto: coraggio e pazienza; quel sopportare le contraddizioni, le cose che non vanno … Ma la pazienza, lo slancio del coraggio, vanno insieme. Vanno insieme. Interpretate voi questo coraggio e questa pazienza come un appassionato servizio a tutta la società, anche alla Chiesa, e a tutta la società. Il Signore vi benedica e la Madonna vi protegga. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.