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Ricordare, ovvero tornare al Cuore per proseguire la missione della Cattolica

21 giugno 2022

Ricordare, ovvero tornare al Cuore per proseguire la missione della Cattolica

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Pubblichiamo il testo integrale dell'omelia pronunciata da S.E. Mons. Claudio Giuliodori, Assistente Ecclesiastico generale dell'Università Cattolica in occasione della solennità del Sacro Cuore 2022


L’immagine del Buon Pastore è al centro dell’odierna liturgia con cui celebriamo la Festa del Sacro Cuore. Una ricorrenza importante per la vita della Chiesa ma particolarmente significativa per noi che siamo chiamati a servire un’istituzione che per volontà dei fondatori è stata consacrata al Sacro Cuore di Gesù. Un riferimento che nel tempo abbiamo imparato ad apprezzare sia per il suo valore spirituale e teologico sia per i suoi risvolti sociali e culturali. Anche la celebrazione del Centenario è stata l’occasione per riscoprire e approfondire la ricchezza di questo riferimento.

Possiamo riprendere in questo senso l’omelia di Papa Francesco nella Messa celebrata presso la sede di Roma. In quell’occasione riassumeva attorno a tre parole il senso del riferimento al Sacro Cuore: Ricordo, Passione, Conforto. «Ri-cordare - ci diceva - significa ritornare al cuore, ritornare con il cuore. A che cosa ci fa ritornare il Cuore di Gesù? A quanto ha fatto per noi: il Cuore di Cristo ci mostra Gesù che si offre: è il compendio della sua misericordia». Ed è stato davvero ricco e stimolante questo anno di celebrazioni in cui abbiamo potuto fare memoria di quanto il Sacro Cuore ha fatto, dai fondatori ai protagonisti di oggi, professori, studenti e personale tecnico amministrativo, perché questa nostra Istituzione potesse crescere e diventare un riferimento importante per il sistema universitario del Paese e per l’impegno educativo della Chiesa.

Con la seconda parola “passione” ci invitava a guardare alla passione di Cristo che ha aperto il suo cuore sulla croce per appassionarci all’uomo soprattutto quello sofferente. Ci sollecitava quindi ad invocare «la grazia di appassionarci all’uomo che soffre, di appassionarci al servizio, perché la Chiesa, prima di avere parole da dire, custodisca un cuore che pulsa d’amore. Prima di parlare, che impari a custodire il cuore nell’amore». Anche il nostro Ateneo, a bene vedere, è nato come atto d’amore della Chiesa verso le nuove generazioni e verso il mondo della cultura. E pur avendo come oggetto la cura della crescita intellettuale e della formazione professionale non può mai dimenticare la vera matrice e la ragione ultima del suo operare: essere segno dell’amore appassionato di Cristo per le sue creature.

Infine, con la terza parola, si rivolgeva in modo più diretto al contesto romano dove si formano soprattutto operatori sanitari, chiamati ad essere maestri di consolazione. Guardando a come Gesù si è fatto prossimo e solidale con ogni persona, ci invitava a chiedere «al Sacro Cuore la grazia di essere capaci a nostra volta di consolare. È una grazia che va chiesta, mentre ci impegniamo con coraggio ad aprirci, aiutarci, portare gli uni i pesi degli altri». E di consolazione non hanno bisogno solo i malati, ma in qualche modo tutti ne abbiamo bisogno, soprattutto oggi, di fronte alla pandemia e agli sconvolgimenti causati dalla guerra. Per questo il Papa ci incoraggiava a dirci l’un l’altro: «Coraggio sorella, coraggio fratello, non abbatterti, il Signore tuo Dio è più grande dei tuoi mali, ti prende per mano e ti accarezza, ti è vicino, è compassionevole, è tenero. Egli è il tuo conforto».

Ho voluto ricordare questi passaggi dell’omelia del Santo Padre del 5 novembre scorso, a cui potremmo aggiungere il bellissimo Messaggio che ci ha inviato per l’apertura dell’Anno Accademico il 19 dicembre, modulato attorno alle parole Fuoco, Speranza, Servizio, per richiamare solo uno degli ultimi e inequivocabili doni che il Sacro Cuore ha fatto a questa comunità accademica. Le toccanti e profonde parole che il Successore di Pietro, a più riprese, ha rivolto a questo Ateneo, non fanno che confermare e rafforzare gli attestati di benevolenza divina e di fiducia da parte della comunità ecclesiale. Questa celebrazione del resto, ormai al termine del centenario, non può che essere un inno di lode con cui manifestiamo al Signore la nostra più sentita gratitudine e un’immensa riconoscenza, consapevoli dei preziosi doni ricevuti ma anche delle grandi responsabilità che ci vengono affidate per il presente e per il futuro.

La Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci invita anche a guardare avanti, consapevoli di quanto abbiamo ricevuto dal Buon Pastore e dal suo grande Cuore. Il Suo esempio diventa così emblematico anche per orientare il nostro cammino futuro. Vorrei pertanto, oltre alla doverosa memoria che abbiamo fatto assieme, anche cercare di tracciare l’orizzonte profetico entro cui si colloca il futuro del nostro Ateneo. Memoria e profezia vanno sempre assieme e sono le due ali che fanno decollare il presente, gli danno forza e vigore. Proprio l’immagine del Buon Pastore, così come è delineata nei brani che abbiamo ascoltato, ci offre delle interessanti suggestioni per evidenziare alcuni tratti caratteristici dell’agire dell’Ateneo che, sulla scorta di quanto ricevuto, a sua volta si trova ad agire in nome e per conto del Buon Pastore verso coloro che gli sono affidati.

La prima sottolineatura è legata al prendersi cura e al garantire il nutrimento migliore per la mente e per il cuore. La prima lettura e il salmo si soffermano a lungo su questo aspetto: «Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Rinfranca l’anima mia». Non è un’operazione semplice e scontata perché non basta offrire le conoscenze più aggiornate, stare al passo con le innovazioni tecnologiche o assecondare le linee di tendenze dettate dal mainstream dominante. Occorre un sapiente dosaggio pedagogico che sappia tenere assieme diversi elementi senza assolutizzarne alcuni a discapito di altri. L’immagine del Buon Pastore che conduce le pecore sulle vette delle montagne, lungo i prati, nelle verdi colline, ai ruscelli d’acqua, rappresenta bene le diverse componenti di una sana alimentazione culturale e di una matura formazione professionale.

L’Università Cattolica è apprezzata e si contraddistingue proprio per il modo con cui si prende cura dei suoi studenti attraverso relazioni e ambienti che li pongono sempre al centro e li rendono protagonisti della loro crescita. A tutti viene offerta la possibilità di un cammino sapienziale dove gli aspetti scientifici non sono mai separati da una visione antropologica ed etica che tiene insieme le diverse dimensioni dell’esperienza umana, inclusa quella trascendente e spirituale che si esprime in modo peculiare con gli insegnamenti di teologia e con l’accompagnamento pastorale. Questo approccio non ha perso valore con il passar del tempo. Anzi, in una società super tecnologizzata e dal ritmo accelerato, che finisce spesso per frullare la vita dei giovani, il contributo più prezioso che può offrire il nostro Ateneo è proprio quello di garantire una formazione piena ed equilibrata, tarata sulla maturazione della personalità, oltre che sull’acquisizione delle competenze.

Un secondo aspetto lo possiamo cogliere nella premura del Buon pastore che accoglie tutti dai luoghi più diversi, come abbiamo ascoltato dal Profeta Ezechiele: «passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine. Le farò uscire dai popoli e le radunerò da tutte le regioni». La missione dell’Ateneo, all’inizio del suo secondo secolo di vita, è indubbiamente legata alla dimensione di apertura internazionale, in senso geografico, certo, ma ancor più culturale. Come ha saputo imporsi nel contesto nazionale lungo cento anni di storia, così sarà importante costruire le condizioni per un’apertura progressiva, equilibrata, ma anche coraggiosa, alle sfide globali di oggi e di domani (Cfr. Sacru e Fiuc). Le stesse vicende di questi ultimi mesi, dalla pandemia alla guerra, passando per la necessità di generare nuovi rapporti di fratellanza, ci dicono che occorre ripensare i processi di globalizzazione e di tracciare nuovi orizzonti e nuovi percorsi per la convivenza tra i popoli. L’Ateneo è vincolato a questa prospettiva anche dal suo essere universitas, e in più cattolica, quindi doppiamente impegnato nel contribuire alla costruzione di orizzonti culturali e sociali in grado di garantire uno sviluppo sostenibile per tutti e condizioni di vera solidarietà tra i popoli promuovendo processi di riconciliazione, di giustizia e di pace.

Da ultimo dobbiamo accogliere la sollecitazione già presente nel profeta Ezechiele: «Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia», che Gesù nel vangelo rende ancora più incisiva con la provocazione del lasciare le novantanove per cercare quella perduta. L’università per sua natura costituisce un ambito di selezione delle capacità e annovera tra i criteri di valutazione quello del merito, con tutte le distinzioni che ci ha illustrato il Prof. Sandel nella conferenza tenuta su questo tema presso il nostro Ateneo. In che modo quindi possiamo applicare l’insegnamento evangelico a prenderci cura di tutti e, in particolare, di coloro che sono smarriti e più bisognosi di cura?

Alcune cose sono già ben orientate in questa direzione, basti pensare all’accoglienza di tanti studenti con disabilità che nella nostra comunità trovano ampia e qualificata accoglienza. Ma fa parte di questa attenzione anche la scelta degli Organi di governo di fare tutto il possibile per non ostacolare la scelta del nostro Ateneo, garantendo per esempio la copertura del Diritto allo Studio, anche dove lo Stato risulta purtroppo inadempiente e latitante. Volendo comunque proiettare questo insegnamento della Scrittura verso il futuro, possiamo cogliervi l’invito a prestare ancor più attenzione alla condizione giovanile che, dopo la pandemia, gli attuali sconvolgimenti causati dalla guerra, le incertezze economiche e l’ormai quasi cronica condizione di precarietà esistenziale, vede spesso i giovani fragili e smarriti, incapaci di maturare scelte di vita importanti anche in relazione alla famiglia e alla generazione della vita. Per moltissimi giovani il tempo dell’università, se trovano i necessari sostegni e riferimenti, può diventare l’occasione per curare ferite, alimentare la speranza, orientare il proprio cammino, consolidare e maturare valori positivi, assumere il proprio posto nella società e dare il proprio contributo alla costruzione del bene comune.

Compiti affascinanti e difficili, che i nostri fondatori non hanno avuto timore di affrontare e che generazioni di docenti e studenti hanno coltivato con passione. Ora il testimone è stato consegnato a noi e in questo tornante della storia non possiamo esimerci dall’assumere fino in fondo le nostre responsabilità. Abbiamo il vantaggio di poter contare su una straordinaria eredità e su esempi fulgidi lasciati da chi ci ha preceduto. La recente beatificazione di Armida Barelli, ci offre anche un riferimento esemplare per il nostro cammino di santificazione nel contesto della vita accademica e per il modo con cui dobbiamo lasciarci guidare dal Sacro Cuore nel servizio ai giovani e al mondo della cultura. Mentre siamo certi di poter ancor più contare sulla sua vicinanza e intercessione, facciamo nostro l’impegno che nel suo testamento la Beata consegnava alla Gioventù Femminile. «Non venir mai meno al tuo fattivo entusiasmo per l'Università Cattolica: da essa hai avuto il magnifico programma: soprannaturalità e organicità. Da essa l'Italia e il mondo avranno dottrine e dirigenti secondo il Cuore di Dio!». Questi sentimenti e queste convinzioni possano continuare ad essere l’anima vera e feconda dell’Ateneo dei cattolici italiani. Amen.

L'omelia di

Mons. Claudio Giuliodori

Mons. Claudio Giuliodori

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