Le elezioni del 25 settembre 2022 oltre a costituire la prima chiamata alle urne per il rinnovo del Parlamento italiano dopo l’impatto della pandemia, presentano vari record e novità. Si sono svolte per la prima volta in autunno. Per la prima volta il corpo elettorale è il medesimo per entrambe le Camere (conseguenza dell’abbassamento a 18 anni del diritto di voto al Senato). Sono anche le prime con numero dei parlamentari ridotto. Sono nella storia repubblicana quelle con esito spostato più a destra. È verosimile che possano portare per la prima volta ad un Governo con premier donna. Sono, infine, anche quelle con più alta diserzione ai seggi.
Molti osservatori avevano anticipato che il primo partito in Italia sarebbe stato quello del non voto. La prima informazione arrivata dal Viminale sugli esiti della consultazione elettorale è stata proprio il fatto che oltre il 35% degli italiani si è astenuto.
Possiamo indicare tre principali cause di questo fenomeno. La prima è di tipo demografico. La popolazione italiana diventa sempre più anziana con al suo interno una componente fragile, non pienamente autosufficiente, in precarie condizioni di salute. Si tratta di un fattore rilevante, ma solo in minima parte in grado di spiegare una crescita così ampia dell’astensionismo rispetto alle elezioni politiche precedenti. Dal 2018 ad oggi il crollo è stato infatti di ben 9 punti percentuali (dal 72,9% di affluenza si è crollati al 63,9%), molto più accentuato rispetto al trend passato (dal 2013 al 2018 la riduzione era stata di 2,3 punti percentuali: dal 75,2 al 72,9).
I motivi più rilevanti vanno allora ricondotti ad altri due ordini di fattori: uno in cui la scelta nemmeno si pone e uno in cui si decide deliberatamente di “non scegliere” (di bocciare nel complesso l’attuale offerta politica). Alla base del primo caso sta la cronicizzazione della disillusione che porta a disaffezione e disinteresse. Rientra più comunemente in questa condizione chi si sente ai margini sociali, ha basso titolo di studio, vive un forte disagio economico e lavorativo. Questo spiega sia i livelli particolarmente elevati di astensione nel sud Italia, sia il successo in tale area del Movimento 5 Stelle (che rivendica l’introduzione del Reddito di cittadinanza).
Nel secondo caso l’astensione è invece più un segnale di protesta, di insofferenza, di insoddisfazione e delusione. In questo caso non c’è un rifiuto della politica in sé stessa ma una valutazione della qualità dell’azione politica. Più che la propria fragilità pesa qui la critica verso una classe politica che si rivela troppo spesso inaffidabile, non capace di farsi efficace motore di cambiamento e di miglioramento del paese con le nuove generazioni.
Entrambi questi due fattori incidono più sui giovani che sul resto della popolazione. Il rischio di povertà e di esclusione lavorativa sono più elevati tra gli under 35. D’altro canto, tra le nuove generazioni tende anche ad essere meno positivo il giudizio sull’operato dei governi passati. È vero che i dati del Rapporto giovani 2022 dell’Istituto Toniolo evidenziavano, in controtendenza, una aspettativa positiva verso le politiche da realizzare con i fondi di Next Generation EU e una apertura di credito verso le misure del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Ma la crisi del governo Draghi ha riproposto, verso tali giovani, il ritratto di una politica con deficit di responsabilità e affidabilità.
Come mostrano sia i dati dell’Osservatorio giovani che l’attivismo di molte associazioni di giovani (come il Club Diplomatici formata da studenti dell’Università Cattolica), non manca nelle nuove generazioni la voglia di farsi sentire, contare ed essere protagoniste. Servono però condizioni e spazi che consentano elaborazione di pensiero nuovo, confronto tra pari e con le generazioni più mature, sperimentazione di azione collettiva per il bene comune. L’alternativa è rassegnarsi a vedere, in ogni nuova tornata elettorale, un paese che invecchia con una partecipazione giovanile sempre più debole.