Russi e ucraini. Due popoli “fratelli” da sempre uniti da una lunga storia di convivenza, bilinguismo, tradizioni storiche. Ma costretti a una «contrapposizione forzata» che a poco a poco si sta trasformando in un’«immane tragedia». È il prezzo dell’invasione russa all’Ucraina che non accenna a rallentare. Uno scenario di guerra dove «semi di vangelo» stanno sorgendo in mezzo al filo spinato. Ne sono un esempio l’appello del metropolita della Chiesa ortodossa russa di Kiev Onufrij rivolto al presidente Putin di porre fine alla guerra o il «sussulto morale» della popolazione russa.
Il messaggio di speranza per un futuro di convivenza pacifica è emerso durante il webinar “Ucraina - Russia: capire la guerra per immaginare la pace”, promosso mercoledì 2 marzo da Alumni, la community che riunisce i laureati dell’Università Cattolica, nella Giornata di Digiuno e Preghiera per la pace voluta da Papa Francesco. Un confronto a più voci per fare «chiarezza» su un conflitto che, come indicato dall’inviata di Famiglia cristiana Annachiara Valle moderando l’incontro, ha radici non solo di carattere geopolitico.
Da questo punto di vista può essere d’aiuto capire meglio la «composita situazione ecclesiale» in Ucraina. A descrivere l’universo delle Chiese ortodosse ucraine è stato monsignor Francesco Braschi, docente di Teologia in Cattolica, direttore della Classe di Slavistica dell’Accademia Ambrosiana e profondo conoscitore del mondo ortodosso e greco-cattolico. In Ucraina, ha spiegato monsignor Braschi, «troviamo una Chiesa ortodossa appartenente al patriarcato di Mosca che mantiene come guida suprema il patriarca Kirill di Mosca e che, nella parte orientale del Paese, ha una posizione maggioritaria». Nel 2017, poi, «c’è stata la creazione di una Chiesa autocefala che ha ricevuto come Chiesa ortodossa la capacità di autogoverno dal patriarca di Costantinopoli innescando con questo gesto uno scisma di fatto». A queste due realtà se ne aggiunge una terza: è la Chiesa greco-cattolica ucraina. «Per quanto riguarda la liturgia e la spiritualità, è quasi del tutto identica alla chiesa ortodossa ma da secoli ha riconosciuto l’unione con Roma e la piena comunione con il Papa», ha proseguito Braschi. Una complessità interna all’ortodossia che riporta in primo piano il «tema del fratricidio». Questo perché «il conflitto che si sta giocando in Ucraina a livello sia religioso sia popolare viene percepito come fratricida. Due popoli legati da una lunga storia di vicinanza e che, da questo punto di vista, possono difficilmente sposare una «prospettiva di contrapposizione» così severa e assurda come quella espressa da Putin nel suo discorso del 21 febbraio, in cui ha parlato di «inconsistenza nazionale e culturale dell’Ucraina». Tuttavia, questo conflitto sta producendo un «cambiamento» all’interno della Chiesa ortodossa. Basti pensare che la «mancata presa di posizione del patriarca di Mosca Kirill riguardo all’aggressione all’Ucraina ha provocato e sta provocando un moto di ribellione tra molti sacerdoti». Un momento, dunque, di grande crisi ma anche di «inattesa fioritura»: l’affermazione di una «parresia evangelica» che sta nutrendo la chiesa pur in mezzo a una immane tragedia.
Di fronte al rischio di una imponente catastrofe umanitaria, l’economia può giocare un ruolo cruciale, grazie alle sanzioni. Si tratta di una «punizione economica» - utilizzando la definizione del docente di Economia della pace Raul Caruso - «data a un Paese nella speranza che cambi comportamento politico attraverso la limitazione dei canali commerciali». Solitamente, però, non sono efficaci: il loro «effetto è impoverire la popolazione residente che si stringe attorno alla bandiera sostenendo il proprio autocrate anziché influenzarlo». Nella storia ci sono tanti esempi di sanzioni fallimentari: uno su tutto quello di Cuba che, sottoposta alle sanzioni degli Stati Uniti, è riuscita a sopravvivere grazie al sostegno dell’Unione Sovietica. Le sole sanzioni che possono produrre effetti per così dire positivi sono quelle «mirate sugli oligarchi». Durante la sanguinosissima guerra dei Balcani più che gli accordi Dayton del 1995 funzionò la «decisione di congelare all’estero i beni degli stretti collaboratori di Milosevic». E in Russia quali ripercussioni avranno le sanzioni? Il Paese ne risentirà per via della sua fragile economia che si caratterizza per essere un sistema economico non industriale - visto che solo il 13% del Pil è riconducibile all’industria -, dipendente dalle materie prime e fortemente militarizzato, con il 5% del prodotto interno lordo riconducibile a spese militari. Come se non bastasse la Russia negli ultimi anni ha aumentato la sua «capacità di esportare armamenti, è il secondo Paese al mondo dopo gli Stati Uniti, portando il suo portafoglio di clienti a 45 stati». Un modo per dire che il prodotto interno lordo di uno stato non è mai «neutrale» e quando nelle economie il «peso della militarizzazione» è troppo elevato autonomamente queste si impoveriscono con il risultato pericoloso di essere «più inclini agli interventi armati». In altre parole, la stessa «ricetta economica» che sta applicando Vladimir Putin.
Un Paese fragile sul fronte economico dove le voci di «dissenso» cominciano a farsi strada. A testimoniarlo è stato Adriano Dell’Asta, docente di Lingua e letteratura russa e per alcuni anni direttore dell’Istituto Italiano di Mosca, città cui è ancora fortemente legato. «Le proteste sono diffuse molto di più di quanto ci si potesse aspettare e non toccano solo i giovani» ma interi strati della popolazione. All’origine di tutto una «insoddisfazione per la politica di guerra» e la «scontentezza per una situazione economica, ben precedente a questa vicenda». Insomma, predomina un «senso di vergogna» e di «amor di patria tradito con un crimine». Ma è anche una sorta di «sussulto morale» ovvero il «rifiuto» di un popolo che non accetta più la «menzogna». Una «storia vecchia» negli Stati dell’ex Unione Sovietica dove «propaganda» e «manipolazione della verità» sono state sempre all’ordine del giorno. Lo stesso discorso di Putin è stato «un susseguirsi di cose non verificate, strumento tipico di una propaganda dove non c’è una verità ma esiste solo il mio punto di vista», ha commentato il professor Dell’Asta.
Di qui il compito della cultura utile per capire e andare alla radice dei problemi «senza illudersi che si possa risolvere tutto cancellando quello che non si conosce», ha fatto eco monsignor Braschi. Infatti, il «fascino perverso dell’ideologia», anche di quella putiniana - e che purtroppo ha attecchito in tanti settori occidentali - è «l’idea che i valori hanno una modalità muscolare di difesa». Al contrario la risposta al «vortice distruttivo dell’ideologia» è l’esperienza dove la «pratica della ricerca della verità e del dialogo sono continuo pane quotidiano». Perché il dialogo resta l’unica possibilità che abbiamo per «ricostruire quella che Papa Francesco chiama “Fratellanza universale”».