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Dante, la religione e la politica: una riflessione ancora attuale

25 marzo 2021

Dante, la religione e la politica: una riflessione ancora attuale

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Dante e la politica è uno dei temi che da sempre ha maggiormente appassionato gli studiosi e i lettori di Dante, e non a caso: la passione politica fu, insieme all’ispirazione profetica, una delle due grandi ali che permisero a Dante di raggiungere le vette dell’arte poetica, come afferma autorevolmente, fra gli altri, Umberto Cosmo. A conferma del giudizio del grande dantista, basti ricordare che Dante, prima ancora di essere stato pensatore politico e interprete della realtà politica del suo tempo, fu egli stesso uno degli statisti più in vista e ammirati della sua città, fino a ricoprire la carica di priore, di membro del governo di Firenze; e proprio in uno dei momenti più drammatici della sua storia patria: quando cioè le tensioni tra Firenze e due delle “superpotenze” del tempo, la Chiesa di Bonifacio VIII e la Francia di Filippo il Bello, avevano raggiunto un tale livello da fare presagire un esito drammatico. E così, nell’autunno del 1301, per un ultimo tentativo di scongiurare l’irreparabile, la città aveva deciso di inviare a trattare personalmente con Bonifacio VIII uno dei suoi politici migliori e più prestigiosi: Dante Alighieri.

È Dino Compagni, uno dei suoi primi biografi, a regalarci un’istantanea impressionante di quel breve, drammatico incontro: Dante in piedi di fronte a Bonifacio; e che, all’intimazione dura e perentoria del papa di “cedere”, finalmente, di permettere che Firenze passi una buona volta sotto il controllo Chiesa, risponde lapidario: “Mai Firenze si piegherà alla volontà del signor Papa”. È una risposta, quella di Dante – qui poco importa che l’incontro abbia realmente avuto luogo proprio in quei termini o meno –, che non solo riflette la sua coscienza libera e forte, tutta intrisa di vero umanesimo e amor di patria – un elemento quest’ultimo che verrà esaltato specialmente nel Risorgimento – ma che al contempo anticipa anche il suo destino personale, come politico e pensatore politico.

Alla caduta di Firenze seguirà, com’è noto, l’esilio di Dante, durante il quale comporrà, tra le altre, la sua maggiore opera di pensiero politico: Monarchia, intesa come sinonimo di impero, e nella quale svilupperà compiutamente proprio il tema dell’autonomia del potere politico da quello spirituale. L’affermazione inequivocabile per cui l’autorità dello Stato non dipende dall’autorità della Chiesa costerà al libro, nell’immediato, la messa all’Indice dei Libri proibiti dal quale verrà tolto solo molti secoli dopo: nel 1881, da papa Leone XIII, grande ammiratore e fine interprete di Dante. Di lì a poco nascerà e andrà affermandosi sempre più la grande interpretazione della “laicità” di Dante che potrebbe chiamarsi laico-razionalista e che vedrà in Giovanni Gentile e Bruno Nardi i più autorevoli sostenitori: quella per cui Dante, con il suo “separatismo”, sarebbe in realtà il primo e più autorevole interprete di una politica che non necessita più della fede ma solo della ragione per realizzare compiutamente i suoi fini. A essa andrà contrapponendosi una seconda interpretazione, meno considerata e tuttavia non meno rilevante e motivata della prima, che inizierà a svilupparsi in ambito cattolico soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, all’indomani, fra l’altro, della strumentalizzazione fascista di Dante politico come precursore di una presunta, rinnovata “missione imperiale” di Roma.

Delineata autorevolmente da Paolo VI nella Lettera apostolica “Altissimi Cantus” – scritta in occasione del 700esimo anniversario della nascita di Dante – l’interpretazione cattolica della laicità di Dante avrà in Augusto Del Noce uno dei suoi massimi e più autorevoli interpreti. Per Del Noce, l’originalità della “laicità cattolica” di Dante sta non solo e non tanto nell’affermazione della legittima autonomia dello stato dalla Chiesa, ma nella ragione religiosa per la quale essa viene affermata; che è poi la via, in Dante, per giungere all’affermazione di una sana religiosità della politica, ovvero di un senso religioso della laicità. Dante, da cattolico, profeticamente libera la religione dal peso della politica; e tuttavia non in una prospettiva separatista, quanto per arricchire la politica con i veri apporti della religione.

A determinare, in Dante, il rapporto tra religione e politica, è in realtà non il separatismo, ma una sorta di unità-distinzione, nella consapevolezza che un agire politico secondo ragione deve comunque vivere sempre inscritto in un più ampio orizzonte religioso che ne costituisce il respiro e l’ambito vitale. Ogni agire politico autenticamente rispettoso della dignità dell’uomo ha ultimamente bisogno della fede nella creazione come suo orizzonte. Da qui l’immutata attualità di Dante, che il tempo non fa che confermare e accrescere.

Un articolo di

Pietro Luca Azzaro

Pietro Luca Azzaro

Professore History of Political Thought - Università Cattolica del Sacro Cuore

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