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Dante, la visione provvidenziale della storia e del diritto

25 marzo 2021

Dante, la visione provvidenziale della storia e del diritto

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Dante Alighieri, nato nel 1265 da una famiglia della piccola nobiltà fiorentina, non fece mai studi di diritto, ma di retorica, filosofia, letteratura latina e ars dictaminis o epistolografia, dapprima sotto la guida del letterato, poeta e notaio Brunetto Latini, poi per suo conto, soprattutto dopo la morte della sua Beatrice avvenuta nel 1290; e tuttavia è evidente che egli non dovette essere del tutto ignaro della materia, sia per l’intima amicizia che lo legava a Cino da Pistoia, letterato sì, ma soprattutto grande giurista, maestro di Bartolo da Sassoferrato, sia perché in gioventù durante un soggiorno a Bologna - lo studium iuris per eccellenza che aveva visto i natali della scuola dei glossatori e a cui si doveva la riscoperta dei Digesta di Giustiniano dopo secoli di oblio - dovette fare esperienza delle dotte disputazioni fra i maestri di diritto.

Inoltre, svolgendo per un decennio attività politica a Firenze, egli non mancò certo di trovarsi immerso nelle calde questioni giuridico-politiche della città e in questa veste, come ogni altro cittadino impegnato, non poteva che intendere il suo comune come un’entità territoriale autogovernata, regolata da proprie leggi e dotata di una propria struttura amministrativa (cd. ius proprium) ma, nel contempo, gravitante nell’alveo delle due somme potenze universali allora dominanti, l’impero e la chiesa, con i relativi diritti anch’essi universali, quello civile e quello canonico (cd. ius commune).

Ma fu dopo l’esperienza amara dell’esilio che Dante, pellegrino in varie città d’Italia dilaniate dalle rivalità intestine e ancor più scoraggiato per l’abbandono di Roma da parte del papato nel periodo della cattività avignonese, si convinse che soltanto l’esercizio del potere temporale da parte di un imperatore giusto e capace, in buon accordo con la chiesa, detentrice di quello spirituale, avrebbe potuto guidare l’umanità smarrita verso il bene e la giustizia.

Così, già nel Convivio e nel De monarchia, egli elaborò una visione politico-giuridica di stampo provvidenzialista che vedeva nel grande impero romano la culla del cristianesimo nascente, visto che, per volere di Dio stesso, esso aveva fornito i luoghi e gli strumenti perché Cristo, nato sotto le sue ali, fosse crocifisso per ordine del prefetto romano Pilato, risorgesse e potesse quindi essere conosciuto e adorato fino agli estremi confini dell’ecumene. Una visione provvidenziale della storia, dunque, che per Dante non si concludeva con l’età romana, ma continuava con la fondazione del Sacro romano impero, che aveva il merito di aver riportato in Occidente la grande tradizione della latinità, rivitalizzata, però, dalla luce di Cristo e della chiesa.

È questa la concezione che emerge con forza nel canto VI del Paradiso, il cui protagonista è Giustiniano, imperatore a Costantinopoli dal 527 al 565, degno di dimorare in eterno nella beatitudine del cielo di Mercurio perchè resosi in vita strumento attivo della Provvidenza: infatti - come proclama l’imperatore stesso nel lungo monologo che occupa l’intero canto - egli dapprima, aveva accolto, contro le tesi monofisite, la dottrina papale secondo cui Cristo, vero Dio e vero uomo, si era immerso totalmente nella storia subendo il supplizio sotto la giurisdizione romana; poi, forte di questa concezione provvidenziale della storia, aveva condotto, attraverso il suo generale Belisario, una campagna vittoriosa di riconquista dell’Occidente dai barbari e si era ripreso Roma, la capitale designata da Dio per riportare il bene sulla terra; infine, e soprattutto, sempre per realizzare nel mondo la volontà divina (v. 2: per voler del primo amor ch’i’ sento), aveva ordinato e guidato la realizzazione della grande compilazione di diritto romano, in seguito chiamata Corpus iuris civilis, traendo ‘d'entro le leggi … il troppo e 'l vano’ (v. 3), cioè raccogliendo e riordinando tutto ciò che riteneva degno di essere conservato della grande esperienza giuridica di Roma (vv. 13-15: Tosto che con la Chiesa mossi i piedi, / a Dio per grazia piacque di spirarmi / l’alto lavoro, e tutto ‘n lui mi diedi).

Giustiniano è dunque per Dante il modello dell’imperatore ideale, dedito al compito di amministrare il mondo con un diritto, quello romano, che, accanto a quello canonico, è strumento per la piena realizzazione in terra della giustizia di Dio; è colui che, con la pubblicazione del Corpus Iuris Civilis ha raccolto la splendida eredità della cultura giuridica romana per trasmetterla ai posteri e farne il diritto universale dell’impero cristiano; è il prototipo del sovrano eternamente giusto che solo può riportare la chiesa alla sua sede naturale dall’esilio avignonese e solo può condurre i comuni a superare le rivalità interne, frutto di mera cupidigia e brama di potere.

Un articolo di

Lauretta Maganzani

Lauretta Maganzani

Professoressa di Diritto romano - Università Cattolica del Sacro Cuore

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