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Afghanistan, analisi di una sconfitta

03 dicembre 2021

Afghanistan, analisi di una sconfitta

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Perché la long war degli Stati Uniti e della Nato in Afghanistan si è risolta in un fallimento politico e militare? Quali erano, realmente, gli obiettivi della missione? Una risposta, in un certo modo profetica, si può trovare nelle pagine del libro "Missione fallita" (ed. Il Mulino) dello storico dell'Università di Pavia Gastone Breccia che analizzando dettagliatamente il bilancio della partecipazione italiana alle missioni ISAF (2003-2014) e Resolute Support (2015-2019) riuscì a preannunciare l’amaro «addio a Kabul» con la fine ingloriosa della guerra ventennale e il ritorno dei talebani al potere.

Di questi temi si è parlato con l’autore lunedì 29 novembre nel corso dell'ultimo appuntamento del ciclo AseriIncontra. All'evento, moderato dal direttore del Dipartimento di Scienze politiche dell'Università Cattolica Damiano Palano e a cui ha partecipato la professoressa Elisa Giunchi dell'Università degli Studi di Milano, il punto di partenza è stata propria la "profezia", messa nero su bianco in tempi non sospetti del prof. Breccia: “Se il contingente internazionale lascerà l’Afghanistan il Paese ripiomberà tra le mani dei talebani”. Questa, in sintesi la previsione – poi puntualmente verificatasi – contenuta nel libro.

Gastone Breccia – ha detto introducendo l’incontro il prof. Palano – in una pagina cita una famosa frase del capo indiano Cane Basso a Little Big Horn, “Oggi è un buon giorno per morire”, un concetto che nella nostra cultura occidentale di cittadini del XXI secolo per noi è senza senso e probabilmente ingiustificabile ma pone un problema rilevante nel nostro modo di vivere le missioni militari dell’Occidente nel resto del mondo e ripropone per l’eterno problema dell’etica della guerra, un concetto a noi spesso estraneo e più difficile da comprendere di quanto non sia stato per molte civiltà del passato. Uno spunto su cui riflettere».

«Il titolo, Missione Fallita, - ha chiesto stimolando il dibattito la prof.ssa Giunchi - presuppone che ci fossero degli obiettivi e su questi si è molto discusso. Quali erano, realmente, quelli dell’operazione Enduring Freedom? E, sempre riprendendo il titolo, davvero l’Occidente può definirsi sconfitto?».

«Non possiamo prenderci in giro – ha spiegato Breccia nel suo intervento – la missione è fallita e anche gravemente perché la guerra è stata intrapresa per cacciare dall’Afghanistan i talebani, colpevoli di aver fatto da base operativa ai terroristi di Osama Bin Laden. E se è vero che in due mesi furono sconfitti, è altrettanto vero che adesso sono tornati…”

«Una grande coalizione occidentale con uno strapotere tecnologico e militare ha speso 14 anni per una guerra con degli obiettivi e non li ha ottenuti. E, dopo altri 6 anni di assistenza, addestramento e logistica, anche questi fallimentari, è dovuta andar via. È stata a tutti gli effetti una resa che, alla luce degli accordi di Doha, per come è maturata resterà negli annali del diritto internazionale».

E sul perché Breccia entra nel dettaglio: «I talebani si misero al tavolo con gli americani riconoscendoli come nemici con cui interagire ma imposero come condizione l’estromissione del Governo afghano. La cosa stupefacente è che gli Usa accolsero questa richiesta. Fu una scelta drammatica: da quel momento in poi che legittimità poteva avere un governo tradito da chi lo aveva non dico creato ma sicuramente sostenuto, aiutato e appoggiato? La sua storia, politicamente, è finita lì. Una grande potenza che parla con un non-state-actor è già qualcosa da rimarcare ma escludere da una trattativa che porrà fine a una guerra ventennale un legittimo Governo riconosciuto dalla comunità internazionale è un precedente che ci porteremo dietro per almeno trent’anni».

Da qui l’amara previsione dell’epilogo poi concretizzatosi: «Impossibile stupirsi del crollo dell’esercito afghano considerando che alle spalle aveva un Governo che non aveva nessuna autorevolezza. I militari afghani hanno solo preso atto di una situazione certificata dagli americani stessi. Tant’è che la nuova presa di potere del talebano è stata praticamente incruenta».

E sugli obiettivi precisa: Erano essenzialmente due. Smantellare la rete di Al Qaeda e cacciare il regime talebano. Nei primi due mesi questi furono raggiunti perché la Rete terroristica distrutta e i talebani sconfitti. Non fu invece raggiunto, se non molto tempo dopo, un altro scopo secondario ovvero l’eliminazione di Osama Bin Laden e del Mullah Omar. In ogni caso fino a quel punto l’operazione sembrava un grande successo politico e militare ma da quel momento sono cominciati gli errori. Perché hanno cominciato a mandare truppe di terra in un Paese che - è noto dai tempi di Alessandro Magno – per conformazione è difficilissimo gestire e amministrare militarmente? Il tutto oltretutto senza una chiarezza strategica. Le truppe Nato ingenuamente li hanno seguiti a ruota convinti che la guerra fosse finita. All’opinione pubblica è stato detto che si trattava di un’operazione di peace keeping, ma questo, lo dice anche la parola, vuol dire mantenere. Ma non era vero: in quel territorio la pace non c’era».

«Combattere una guerra - ha concluso Breccia - è una scelta legittima ma è bene che l’opinione pubblica ne sia al corrente. Un governo dovrebbe dire la verità e se, politicamente, non è in grado di sostenerla astenersi dal farla anche nel rispetto di coloro che agiscono sul campo senza i mezzi e il sostegno necessario per compiere la missione che gli è stata data. Il fallimento nasce soprattutto da questo».

Un articolo di

Luca Aprea

Luca Aprea

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