La festa patronale dell’Università Cattolica, dedicata al Sacro Cuore di Gesù, ci riporta a considerare il ricco apparato iconografico legato a tale devozione nata dalle visioni mistiche di Margherita Maria Alacoque nel Seicento e divenute vessillo della regalità di Cristo in anni vicini alla fondazione dell’Ateneo.
Una ricostruzione storica con relativa interpretazione teologica di questa iconografia è contenuta nel volume “Icone dell’esilio. Immagini vive nell’epoca dell’Arte e della Ragione” (Vita e Pensiero, 2022) scritto da Giuliano Zanchi, prete della diocesi di Bergamo, direttore della Rivista del Clero Italiano e docente di Teologia presso l’Università Cattolica.
L’autore ricostruisce quelle che chiama «immagini vive»: si tratta di icone, cioè immagini sacre cristiane che erano considerate impronta del soprannaturale e presenza reale dell’invisibile divino.
È di particolare interesse dedicare attenzione alle icone, nella civiltà delle immagini, per riproporre la loro potenza simbolica che supera i secoli da quando furono realizzate per giungere al confronto odierno con la nostra sensibilità, la nostra spiritualità e i nostri canoni artistici e criteri valutativi.
Don Zanchi illustra la filosofia e la teologia alla base delle immagini della devozione religiosa cattolica del periodo della modernità (dal Cinquecento alle due guerre mondiali del secolo scorso). Il suo intento è quello di riscattare la loro funzione storica e sociale recuperandole dalla disattenzione e forse dal pregiudizio di cui hanno patito nel tempo mettendo «un po’ di luce su un angolo di storia religiosa lasciato nella penombra».
Mentre nel primo millennio dell’era cristiana, le immagini erano state elevate a una dignità che le avvicinava al potere simbolico del Sacramento, nei secoli moderni, detti dall’autore «dell’Arte e della Ragione», tali funzioni perdono progressivamente significato. Le immagini diventano “solo” strumenti di rappresentazione della realtà. Da «porte regali», come le aveva definite Pavel Florenskij, si trasformano in «finestre sul mondo», secondo la definizione di Leon Battista Alberti. In pratica, per l’autore «La peculiarità delle storie scelte per questo libro sta nel raccontare il ruolo dell’immagine devota della modernità come tentativo della vecchia funzione iconica di mantenere un dritto di cittadinanza anche nell’epoca della nuova immagine artistica e rappresentativa».
Tra queste icone, nello studio di don Zanchi, spicca proprio il Sacro Cuore come tramandato negli scritti e nelle immagini dall’esperienza mistica di Margherita Maria Alacoque del monastero della Visitazione di Paray-le-Monial. Le antiche immagini bizantineggianti che raffiguravano il crocifisso nella posa ieratica del Cristo trionfante stavano lasciando spazio a quelle in cui gli effetti cruenti del supplizio erano descritti con relativa precisione fisica. La fede diventa partecipazione affettiva alla passione di Cristo. Il culto del Sacro Cuore nasce come forma distintiva di una vita religiosa che fa riferimento all’incarnazione di Gesù e all’esperienza della sua umanità.
Le visioni di Margherita Maria Alacoque e la relativa devozione «equipaggeranno il veicolo mistico, letterario e spirituale che condurrà il culto del Sacro Cuore, radicato da secoli nel contesto della vita religiosa medievale, alla sua piena emersione pubblica e ai chiari significati politici che esso finirà per veicolare».
Una nuova devozione che proporrà la dignità antropologica del «sentire» associandola direttamente alla salvaguardia teologica dell’«umanità di Cristo».