Per raccontare la guerra serve empatia e capacità di descrivere la complessità. Parola di Greta Cristini, analista geopolitica e reporter che, lunedì 18 novembre, è stata la protagonista del secondo appuntamento del ciclo promosso dall’Alta Scuola in Economia e Relazioni internazionali.
Autrice e voce del podcast "Il Grande Gioco" (OnePodcast, Gedi), collabora con diverse testate e ha scritto il volume "Geopolitica. Capire il mondo in guerra", edito da Piemme. Laureata in Giurisprudenza, per anni è stata avvocata anticorruzione a New York e proprio a partire da quel periodo, il professor Vittorio Emanuele Parsi, moderatore dell'incontro, ha avviato il dibattito: «Da quella esperienza - ha spiegato Cristini - ancora oggi si basa la metodologia su cui imposto le mie interviste, che siano a un civile, a un rappresentante istituzionale o a un militare. Cerco sempre di eliminare i miei codici di italiana, mediterranea e occidentale e mettermi nella mente e nel cuore della persona con cui sto parlando. La geopolitica richiede questo sforzo empatico, soprattutto se, come cerco di fare io, si vuole analizzarla direttamente sul campo. In Italia siamo così pieni di giornalismo di opinione che il lavoro di trovare le “notizie” e “descrivere la realtà” ormai quasi non si fa più».
Una materia, la geopolitica, inevitabilmente complessa. «Io non voglio dire alla gente come la deve pensare. Non è il mio compito. Nel mio podcast o in un mio articolo non troverete mai una divisione netta tra buoni e cattivi. Anzi, il mio obiettivo è quello di stimolare più domande possibili. Mi piace trasmettere la complessità di questi temi. L’ideologia c'è ma è solo una delle categorie, e non è la risposta attraverso la quale è possibile comprendere le cose. Naturalmente, alla fine, una visione critica è legittima e se vogliamo anche doverosa ma sempre senza dimenticare chi siamo e da dove veniamo, perché dalla nostra geografia non si può scappare».
In Medioriente - ha detto Cristini analizzando il conflitto israelo-palestinese - è necessario prendere coscienza che la diplomazia ha fallito. Il dialogo è stato totalmente annichilito. La dignità umana nei confronti dell'altro – da entrambe le parti – in quelle terre non c’è più. La percezione è di non riconoscimento. Quello che stiamo vedendo in quelle terre è un passaggio storico dove la legge, per come la conosciamo noi, è superata e dove uno Stato la rispetta solo fino a quando la ritiene affine alle proprie convenzioni. La guerra è la legge del più forte e Israele non hai mai pensato di partecipare alla creazione di uno Stato palestinese. Anzi, si adopera perché questa situazione non si venga mai a creare. Dall'altra parte abbiamo un popolo/non popolo perché in Cisgiordania si sta verificando lo sfaldamento del tessuto familiare di un popolo. Per i palestinesi è una guerra contro un'oppressione».