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Empatia e complessità, la geopolitica di Greta Cristini

21 novembre 2024

Empatia e complessità, la geopolitica di Greta Cristini

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Per raccontare la guerra serve empatia e capacità di descrivere la complessità. Parola di Greta Cristini, analista geopolitica e reporter che, lunedì 18 novembre, è stata la protagonista del secondo appuntamento del ciclo promosso dall’Alta Scuola in Economia e Relazioni internazionali

Autrice e voce del podcast "Il Grande Gioco" (OnePodcast, Gedi), collabora con diverse testate e ha scritto il volume "Geopolitica. Capire il mondo in guerra", edito da Piemme. Laureata in Giurisprudenza, per anni è stata avvocata anticorruzione a New York e proprio a partire da quel periodo, il professor Vittorio Emanuele Parsi, moderatore dell'incontro, ha avviato il dibattito: «Da quella esperienza - ha spiegato Cristini - ancora oggi si basa la metodologia su cui imposto le mie interviste, che siano a un civile, a un rappresentante istituzionale o a un militare. Cerco sempre di eliminare i miei codici di italiana, mediterranea e occidentale e mettermi nella mente e nel cuore della persona con cui sto parlando. La geopolitica richiede questo sforzo empatico, soprattutto se, come cerco di fare io, si vuole analizzarla direttamente sul campo. In Italia siamo così pieni di giornalismo di opinione che il lavoro di trovare le “notizie” e “descrivere la realtà” ormai quasi non si fa più».

Una materia, la geopolitica, inevitabilmente complessa. «Io non voglio dire alla gente come la deve pensare. Non è il mio compito. Nel mio podcast o in un mio articolo non troverete mai una divisione netta tra buoni e cattivi. Anzi, il mio obiettivo è quello di stimolare più domande possibili. Mi piace trasmettere la complessità di questi temi. L’ideologia c'è ma è solo una delle categorie, e non è la risposta attraverso la quale è possibile comprendere le cose. Naturalmente, alla fine, una visione critica è legittima e se vogliamo anche doverosa ma sempre senza dimenticare chi siamo e da dove veniamo, perché dalla nostra geografia non si può scappare».

In Medioriente - ha detto Cristini analizzando il conflitto israelo-palestinese - è necessario prendere coscienza che la diplomazia ha fallito. Il dialogo è stato totalmente annichilito. La dignità umana nei confronti dell'altro – da entrambe le parti – in quelle terre non c’è più. La percezione è di non riconoscimento. Quello che stiamo vedendo in quelle terre è un passaggio storico dove la legge, per come la conosciamo noi, è superata e dove uno Stato la rispetta solo fino a quando la ritiene affine alle proprie convenzioni. La guerra è la legge del più forte e Israele non hai mai pensato di partecipare alla creazione di uno Stato palestinese. Anzi, si adopera perché questa situazione non si venga mai a creare.  Dall'altra parte abbiamo un popolo/non popolo perché in Cisgiordania si sta verificando lo sfaldamento del tessuto familiare di un popolo. Per i palestinesi è una guerra contro un'oppressione».

Un articolo di

Luca Aprea

Luca Aprea

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Sul fronte russo-ucraino, invece, dopo la vittoria di Trump alle presidenziali americane secondo Cristini «Trump potrebbe sfruttare la questione ucraina per risolvere i problemi con i paesi europei esortandoli ad assumersi la responsabilità della sicurezza militare ucraina. Un win-win per gli Usa che sono un po’ stufi di quel conflitto come del resto i cittadini americani». 

«Tuttavia - ammonisce - Trump non è un isolazionista. Attenzione a quello che succederà, sul fronte mediorientale, nei rapporti con l'Iran, giudicato l'anello debole su quel fronte e dove gli Stati Uniti probabilmente cercheranno di ristabilire la pace con l'uso della forza.

Ma con il ritorno della guerra in Europa e l'allargamento del conflitto in Medioriente ci sta consegnando un mondo più bellicoso e bellicista? «No, assolutamente - risponde Cristini a una delle tante domande arrivate dal pubblico - a livello culturale non stiamo certo accettando la guerra come una possibilità. Ci interessa, soprattutto per le ripercussioni sulla nostra vita quotidiana come, per esempio, i rincari nelle bollette. Tuttavia, questo nostro distacco, inteso come Occidente, rischia di essere un atteggiamento antistorico. Diverso, invece, il discorso su una crescente mediatizzazione dei conflitti». Una riflessione condivisa e rilanciata dal professor Parsi: «L’ideale collettivo non ci smuove, solo la “roba”, intesa in senso verghiano, stimola rabbia, indignazione. Anche violenza. Ma l’opposto della guerra non è la pace ma la giustizia. La pace è una conseguenza».  

Il prossimo appuntamento con "Raccontare la guerra" è per lunedì 2 dicembre (via San Vittore, ore 16.30) con Lorenzo Cremonesi, giornalista del Corriere della Sera. Ingresso libero, previa prenotazione.

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