NEWS | Milano

Lorenzo Cremonesi e l’inevitabilità della guerra

03 febbraio 2025

Lorenzo Cremonesi e l’inevitabilità della guerra

Condividi su:

Il racconto della guerra passa dall’Alta Scuola in Relazioni internazionali (Aseri) dell’Università Cattolica con l’incontro con Lorenzo Cremonesi, inviato speciale del Corriere della Sera che giovedì 30 gennaio ha dialogato con il professor Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni Internazionali dell’Ateneo nell’ambito del terzo appuntamento del ciclo promosso dall’Alta Scuola. Il dibattito – introdotto dal professor Damiano Palano, direttore dell’Aseri, ha avuto come temi principali la situazione in Ucraina e a Gaza.

«La preferibilità della democrazia deve essere messa in discussione non sui princìpi che la sostengono, ma sulla sua efficacia ed efficienza». Parsi esordisce così e aggiunge: «È un sistema che, più di altri, ha dimostrato di sapersi modellare nel tempo, adattandosi alle sfide e ai cambiamenti. Tuttavia, il contesto globale attuale, segnato da conflitti e instabilità, solleva interrogativi profondi sulla capacità della democrazia di garantire un ordine internazionale stabile e duraturo».

Per comprendere il quadro geopolitico del Medioriente e nel cuore dell’Europa nordorientale si deve partire da lontano. Le guerre che hanno caratterizzato la prima parte del millennio, come quelle in Iraq e Afghanistan, avevano l’obiettivo di sostenere un nuovo ordine internazionale. Eppure, come afferma Cremonesi, «sono tutte fallite». Oggi, i due principali conflitti in non mirano a stabilizzare l’ordine esistente, ma a riformarlo radicalmente. In particolare, il conflitto israelo-palestinese sembra puntare a una «supremazia totale israeliana affermata militarmente», con una forza esibita che ridefinisce gli equilibri regionali e globali.

Queste due guerre, a differenza di molte altre, potrebbero essere considerate «le uniche due guerre di successo», almeno in termini di capacità di conseguire gli obiettivi politici che i rispettivi attori si sono posti. Tuttavia, aprono incognite sul futuro della deterrenza e sulla natura stessa della guerra. Da evento "terribile ed eccezionale", la guerra sta tornando a essere concepita come un fenomeno ordinario, quasi normale, come era prima del "secolo delle democrazie". Il ritorno alla normalità delle guerre, insomma, è nell’aria da tempo, dopo l’illusione che il mondo avesse superato definitivamente il periodo dei conflitti armati con la fine della Guerra Fredda.

Un articolo di

Andrea Florenzano

Scuola di Giornalismo

Condividi su:


La crisi israeliana, in particolare, secondo Cremonesi, corrispondente per anni da Gerusalemme per il Corriere, rappresenta l’evoluzione di un conflitto antico e irrisolto, che «avevamo semplicemente rimosso, ma che era lì silenzioso e dietro l’angolo». Il fallimento degli accordi di Oslo, culminato con l’assassinio del primo ministro Yitzhak Rabin per mano di un estremista israeliano della stessa corrente politica di chi oggi è al governo, ha segnato una svolta drammatica. «Allo stesso modo, il conflitto in Ucraina ha radici profonde: l’illusione che il paese potesse integrarsi pienamente in Europa si è infranta nel 2014 con la rivoluzione di Maidan e l’invasione del Donbass da parte delle forze filo-russe».

Nel 2022, con l’invasione russa dell’Ucraina, molte opinioni pubbliche europee, in particolare in Francia e Germania, hanno mostrato una certa arrendevolezza, quasi una disponibilità a fare qualsiasi cosa pur di evitare la guerra. «Questo atteggiamento – spiega Cremonesi - riflette una difficoltà culturale e politica ad accettare che la guerra sia ancora una realtà con cui fare i conti». Il capitolo felice di chi ha vissuto dopo la fine della Seconda guerra mondiale assomigliava ad uno stato di pace perenne: «Un periodo eccezionale, ma che è finito».

Donald Trump, con il suo approccio diretto, ha riportato alla luce una verità scomoda: «Io sono più forte, ho le armi e posso dirti che se non vuoi trattare con me, ti invado e ti conquisto». Non c’è nulla di nuovo in questa logica: «Tutti i conflitti che io ho seguito – ricorda Cremonesi - sono tutti affrontati, risolti o non risolti, con la forza». L’elemento militare, insomma, rimane centrale nella risoluzione delle controversie internazionali, anche in un’epoca in cui si vorrebbe credere che la diplomazia e il dialogo possano prevalere.

Ma perché, allora, ci ritroviamo ancora a combattere? Perché, ad esempio, difendere i curdi in Siria o affrontare minacce come Al Qaeda e l’Isis? «Se Al Qaeda mirava agli Stati Uniti - spiega - l’Isis considerava e considera tutt’ora l’Europa il ventre molle degli occidentali ed eretici». Questi gruppi non cercano semplicemente di destabilizzare regioni specifiche, ma di minare alle fondamenta l’ordine globale esistente.

Il giornalista conclude con una considerazione: «Il ritorno della normalità delle guerre è una realtà con cui dobbiamo fare i conti, senza illusioni e senza arrendevolezza. La domanda non è tanto se la democrazia sia preferibile in termini di valori, ma se sia in grado di garantire efficacia ed efficienza in un contesto globale sempre più complesso e conflittuale».

Newsletter

Scegli che cosa ti interessa
e resta aggiornato

Iscriviti