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Le strade che portano al Colle

21 gennaio 2022

Le strade che portano al Colle

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Accordi sottobanco rispettati e altri traditi, ambizioni premiate e deluse, franchi tiratori e perfino… scoiattoli. L’elezione del Capo dello Stato è una saga che attraversa la storia della nostra Repubblica. Un atto che, a partire da lunedì 24 gennaio, data della prima votazione in Parlamento, si arricchirà di un nuovo capitolo. Inedito. Le misure di contenimento della pandemia di Covid-19 hanno infatti imposto nuove regole al rigido cerimoniale dello scrutinio: perfino i catafalchi, le tradizionali cabine di legno e velluto dove avviene il voto segreto, verranno appositamente modificati. Senza contare le difficoltà logistico-sanitarie (e un protocollo di rigidi controlli degli elettori assicurati dallo staff medico della Fondazione Policlinico Gemelli) dovute alla gestione di eventuali positivi e all’inevitabile limitazione delle presenze in aula. Mai come in questa occasione l’elezione del Presidente della Repubblica è una vera corsa a ostacoli. In questo contesto domina  l’incertezza e alla vigilia della prima chiama torna ancora una volta attuale la famosa espressione coniata da Donat Cattin nel 1964: tre le armi per “uccidere” i candidati alla più alta carica dello Stato “veleno, pugnale, o franchi tiratori”.

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Redazione

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Ma qual è lo scenario in cui verrà scelto il successore di Sergio Mattarella al Colle? «Queste elezioni – spiega il professor Agostino Giovagnoli, docente di Storia contemporanea dell’Università Cattolica - hanno progressivamente messo a fuoco una regola non scritta ma sempre più rispettata: la scelta deve cadere su una figura autorevole ma non su un leader con grande peso politico (per questo Fanfani e Moro, Andreotti e Forlani non sono mai stati eletti a questa carica, cui sono stati preferiti Leone, Pertini, Cossiga). Queste e altre “regole” non scritte permettono che, qualunque maggioranza lo elegga, il designato possa “spogliarsi di ogni precedente appartenenza e farsi carico esclusivamente dell’interesse generale, del bene comune come bene di tutti e di ciascuno”, per usare ancora le parole di Mattarella».

Libera interpretazione di chiari poteri: storia del successo della Presidenza della Repubblica

«Tutto ciò – aggiunge Giovagnoli - favorisce il compito di rappresentare l’unità nazionale che proprio Mattarella ha interpretato al meglio. La simpatia e i consensi che si è attirato non sono casuali, rispondono a un bisogno che è diventato sempre più acuto man mano che la politica è diventata sempre più divisiva».

Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l'unità nazionale

Art. 87 della Costituzione italiana

In tal senso è interessante notare l’evoluzione politica (e non solo) della massima carica dello Stato nel corso degli anni. Per Antonio Campati, ricercatore di Filosofia politica del nostro Ateneo, «per un certo lasso di tempo, dopo l’avvio della Seconda Repubblica si è creduto che la funzione principale del Capo dello Stato fosse quasi esclusivamente notarile. L’apparente consolidarsi di uno schema bipolare induceva infatti a collegare la scelta del capo del governo all’esito delle elezioni, con il Quirinale impegnato semplicemente a certificare la correttezza di tale corrispondenza. La storia è però andata in un’altra (prevedibile) direzione».

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«Ne sono un esempio le ultime due legislature, durante le quali sono nati (per ora) sei governi. Qualcuno si è spinto a dire che si è tornati alla Prima Repubblica. Ma a differenza di allora, e specialmente rispetto alla legislatura in corso, le maggioranze parlamentari sono molto più eterogenee nella loro composizione. E i partiti non sono affatto strutturati, organizzativamente e ideologicamente, come quelli di qualche decennio fa. In questo contesto, si è rivelato inevitabile l’allargamento della “fisarmonica” dei poteri del Presidente della Repubblica, soprattutto nella gestione delle crisi di governo e nell’indirizzare alcuni iter legislativi».

«Questo è un tipo di elezione particolare perché i cittadini non hanno voce in capitolo», spiega Patrizia Catellani, docente di Psicologia politica nella facoltà di Scienze politiche e sociali. Eppure, continua, «sono coinvolti ugualmente perché è il momento in cui la “personalizzazione” della politica, insieme alla nomina del Presidente del Consiglio e a quella del Capo dello Stato, è la situazione in cui la persona diventa rilevante. In questo caso, però, la persona che sarà scelta dovrà essere speciale, una persona di cui tutti noi - cittadini, parlamentari e nazioni al di fuori dell’Italia - dobbiamo poterci fidare perché sappiamo sarà un punto di riferimento. Una fiducia che si costruisce attraverso serietà, imparzialità, coerenza ma anche reputazione e immagine. Un processo che richiede tempo e si può perdere in un momento, non solo a causa della grande copertura mediatica, ma anche di scandali, gaffe o comportamenti non corretti». E perché la fiducia è così importante? «Potersi fidare vuol dire sentirsi più sicuri e aumentare la propria sicurezza cosa di cui tutti abbiamo più bisogno in un momento così difficile per quanto riguarda la salute, l’economia e per il diradarsi delle relazioni sociali, supporto fondamentale per la nostra sicurezza messa oggi a dura prova dalla pandemia».

«La Costituzione – precisa Giuseppe Monaco, docente di Diritto costituzionale preso la Facoltà di Economia e Giurisprudenza - non ha delineato con precisione il ruolo del Presidente; alla definizione dello stesso ha contribuito inevitabilmente il modo con cui è stato interpretato dai diversi soggetti che hanno ricoperto la carica nella storia repubblicana. Per tale ragione, ancor più in presenza di una situazione di emergenza di carattere sanitario, l’auspicio è che la scelta del soggetto che andrà a svolgere, per i prossimi sette anni, questa delicata funzione ricada su persona autorevole, dotata di capacità di mediazione e di sensibilità istituzionale, fondamentale per evitare indebite interferenze e al contempo per far sì che gli altri poteri dello Stato esercitino le proprie funzioni nel rispetto della Costituzione».

Moderazione e impulso: così il Quirinale unisce la nazione

Ma chi sarà il prossimo inquilino del Quirinale? I nomi sono tanti ma come ricorda il giornalista parlamentare della Rai Luciano Ghelfi, alumnus dell’Ateneo che si appresta a seguire la sua sesta elezione, «ogni volta ci sono stati colpi di scena a ripetizione, le previsioni sono quasi sempre state sovvertite e le chiacchiere della vigilia smentite dai fatti. La regola, non scritta, ma inesorabile, è che per il Quirinale non ci si candida, ma si viene candidati. Chi ci ha provato non ci è mai riuscito. Fondamentale il ruolo dei kingmaker, di coloro che non corrono per sé stessi, ma devono tessere le intese, e costruire le maggioranze».

Dietro le quinte del Quirinale

Un’elezione vista con molto interessa anche in ambito internazionale come può testimoniare Marco Demo, giovane laureato della Facoltà di Giurisprudenza nominato Youth Delegate per l’Italia alle Nazioni Unite: «Il Presidente della Repubblica è una figura conosciuta e apprezzata all’estero. Viene data importanza al ruolo di garanzia e stabilità di questa Istituzione. Sicuramente il Quirinale ha svolto un ruolo importante nel mantenere buone relazioni con gli alleati europei e atlantici e i numerosi attestati di stima dei capi di Stato e di governo sono una dimostrazione. Più che sulla figura del prossimo Presidente all’estero sono concentrati molto sugli impegni che aspettano il governo italiano dopo l’elezione, viene messo un accento molto forte sull’importanza dei progetti e dei fondi legati al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Sicuramente la stampa internazionale si interesserà molto di più dell’Italia quando si entrerà nel vivo».

I giovani guardano al Colle

E proprio il PNRR potrebbe essere un elemento chiave: «In questo particolare momento – spiega la prof.ssa Barbara Boschetti, docente di Diritto amministrativo e coordinatore Recovery Lab, con il PNRR e le strategie di ripresa e resilienza in atto tale evento assume un’importanza ancora maggiore».

«Per il PNRR - aggiunge - è centrale l’attività di governo e la sua continuità; l’esito delle elezioni potrebbe avere su questi fattori un impatto negativo non solo perché c’è l’ipotesi Draghi ma perché paradossalmente c’è l’ipotesi contraria, che potrebbe indebolire il governo».

«Ma è un ruolo in cui è fondamentale anche il carisma. Basta guardare alla nostra storia costituzionale per rendersi conto di quanto il carattere del presidente ne segni lo stile. Durante la pandemia e questo tempo presente, al pari di quanto avvenuto in altri paesi nell’Unione Europea o al di fuori di essa, il Presidente ha svolto un ruolo di stimolo, di guida: è stato un iniettore di fiducia. Moltissimi sono stati i messaggi ufficiali alla nazione: importantissimi quelli dei mesi duri del lockdown. Questo ruolo è di vitale importanza».

Il presidente di tutti gli italiani

«Rappresentare l’unità nazionale significa conoscere e incarnare pienamente i valori della Costituzione – ricorda suor Monia Alfieri, nonché alumna della Cattolica - fondamento della nostra convivenza civile. Gli italiani, quindi, guardano al Presidente della Repubblica come ad una figura al di sopra delle parti, una sorta di Pater (o anche Mater, perché no?) patriae che, indipendentemente dalla propria appartenenza di partito, si è guadagnato negli anni la stima e il rispetto di tutte le forze della società e della politica. Gli italiani, inoltre, attraverso il loro Presidente, si sentono idealmente rappresentati all’estero ed è quindi loro vivo interesse che sia scelta una figura dall’alto profilo politico e istituzionale. Chi verrà eletto sa che porre il piede nella casa degli italiani significa che, nell’arco del settennato, il suo compito sarà servire il Paese nella modalità più alta».

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